giovedì 16 giugno 2022
Ex camionista 44enne di Senigallia, il suo vero nome era Federico Carboni. Al capezzale lo stesso anestesista che portò Welby alla morte nel 2006. Cappato: superata la legge in discussione al Senato
"Mario"-Federico Carboni

"Mario"-Federico Carboni - Foto diffusa dall'Associazione Luca Coscioni

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È morto Federico Carboni, sinora noto come "Mario", il 44enne marchigiano (di Senigallia), ex camionista, tetraplegico da 11 anni in seguito a un incidente stradale, al centro di un braccio di ferro tra l’Associazione radicale Luca Coscioni – che lo assisteva sul piano giuridico e mediatico nell’ambito della sua campagna per l’eutanasia legale – e le istituzioni sanitarie della Regione Marche che non avevano assecondato la sua richiesta di ottenere il suicidio assistito.

A causare il decesso di Carboni, alle 11.05, è stata l’autosomministrazione di un farmaco letale sotto la supervisione di Mario Riccio, 63enne anestesista e dirigente dell’Associazione, già protagonista nel distacco dei supporti vitali che portò alla morte Piergiorgio Welby. Non ci furono conseguenze penali né disciplinari per Riccio, che privatamente aveva assistito Welby assecondandone la richiesta di morire. Un caso del tutto analogo, dunque, quello di "Mario"-Federico Carboni, che l’Associazione Coscioni promuove come primo caso di suicidio assistito in Italia. È così?

Il Comitato etico regionale aveva riconosciuto il ricorrere nel caso del paziente delle condizioni dettate dalla Corte costituzionale per poter accedere alla morte medicalmente assistita, secondo la sentenza 242 Cappato-dj Fabo del 2019 (tranne il decisivo «pre-requisito» del percorso di cure palliative effettivamente sperimentato e non solo proposto, com’è invece accaduto), ma aveva dovuto fermarsi davanti al fatto che la mancanza di una legge che traduca con precisione di principi e di procedure quel verdetto impedisce di praticare qualunque suicidio assistito con gli strumenti e il personale del Servizio sanitario. Dunque, la morte di Federico Carboni è un caso di suicidio con l’aiuto privato di un medico al di fuori dello stesso perimetro della Consulta: perché non c’è una legge con i relativi protocolli sanitari attuativi e perché il medico non ha agito come espressione del Ssn. Lo stesso macchinario che Carboni ha azionato per inocularsi il farmaco letale è stato acquistato a cura dell’Associazione che aveva promosso nei giorni scorsi una raccolta fondi dalla quale erano stati ottenuti 5mila euro. È morto un uomo, è morto suicida, accanto a lui un medico, ad assisterlo un’associazione che promuove l’eutanasia. Questi i fatti.

Quanto alle parole, vanno ascoltate le ultime di Federico, riferite dalla Coscioni: «Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell'oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l'Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».

Al dottor Riccio la spiegazione di come è avvenuto il decesso: «La somministrazione del potente barbiturico Federico l’ha attivata meccanicamente, io mi sono limitato a preparare la linea infusionale». La morte è sopravvenuta «in pochi secondi». Un resconto integrato da Filomena Gallo, legale e segretaria della Coscioni: «È stato preparato un sistema che ha permesso a Federico di premere il bottone e far partire l’infusione del farmaco. Il tutto è stato filmato, il video sarà esclusivamente a disposizione della magistratura se vorrà verificare la correttezza dell’operato». Un’ipotesi non certo remota visto che una legge che preveda quando, come e secondo quali condizioni si può procedere a darsi la morte con assistenza medica non c’è (dopo il varo alla Camera di un testo controverso, al Senato si cerca un consenso ampio, indispensabile per una norma di questa portata). «Mi vergognerei da legislatore – ha detto il segretario del Pd Enrico Letta – se questa legislatura si concludesse senza una norma sul suicidio assistito». Marco Cappato, leader dell’Associazione Coscioni, la pensa diversamente: «Grazie a Federico Carboni la legge oggi in Parlamento diventa superata se non si elimineranno le discriminazioni nei confronti di alcuni malati». Che le Camere debbano occuparsi della morte e non della vita come diritto – in un Paese che ancora nega a troppi un vero accesso a cure adeguate – chiarisce l’urgenza di chiedersi verso quale approdo ci stiamo dirigendo.

Il decesso per suicidio di Federico mostra come non sia possibile lasciare che a scrivere una legge siano drammatiche vicende di morte come queste: le regole vanno costruite con saggezza e convergenza di intenti sul dovere - indicato dalla stessa Corte - di tutelare le persone rese fragili dalla malattia e dalla disabilità da qualunque ombra di abuso o di induzione a chiedere di farla finita. Ma prima ancora le parole di Carboni chiamano in causa le istituzioni sanitarie per dare a tutti cure di qualità e assistenza all'altezza delle esigenze, senza arrendersi e somministrare la morte. Un appello giunge anche alla società perché senta come una ferita la sofferenza di persone come Federico. Questo è il suo lascito. E riguarda tutti.


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