martedì 13 gennaio 2015
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​Quanto si parla, in questi brutti giorni dopo la strage di Parigi nella redazione di un giornale, di “libertà di opinione”! Ebbene, la libertà di potersi esprimere (anche quando siamo in minoranza e nessuno o quasi è d’accordo con noi) è riconosciuta solennemente dalla Costituzione italiana. Al diritto «di tutti» di poter «manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» è infatti dedicato l’intero articolo 21, in cui si precisa anche che «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»: i giornali o le altre pubblicazioni possono essere sequestrate per ordine di un giudice soltanto se i loro contenuti sono vietati dalla legge. Altri diritti importanti sono stabiliti negli articoli successivi (dal 22 al 26): nessuno può toglierci «per motivi politici» (cioè perché ciò che pensiamo o diciamo non piace a chi governa) il nostro nome, la cittadinanza italiana, la possibilità di far valere le nostre ragioni davanti alla legge (“capacità giuridica”); nessuno può chiederci di fare qualcosa o di versare soldi se non quando ciò è previsto da una legge; tutti possono difendere i propri diritti e interessi davanti a un giudice e la difesa deve essere assicurata anche a chi non ha i soldi per pagare un avvocato; se il giudice sbaglia a valutare, il cittadino deve essere risarcito; se un cittadino viene processato, inoltre, il giudice deve appartenere alla magistratura stabilita dalla legge; anche la legge che è stata violata deve essere stata approvata prima che il cittadino la violasse; come abbiamo già visto, se il cittadino da processare è straniero può essere consegnato al suo Paese (la consegna si chiama “estradizione”) solo se ciò è consentito dagli accordi tra Stati e mai per “reati politici”. La Carta precisa infine (articolo 27) che «la responsabilità penale è personale»: significa che se uno infrange la legge, solo lui può essere accusato e non, per esempio, i suoi familiari o i suoi amici. Però nessuno è considerato colpevole «fino alla condanna definitiva» e, comunque, quando uno va in prigione non deve essere trattato male (perché la pena è, appunto, già il fatto di non essere più libero) e, anzi, deve essere aiutato a tornare onesto. In Italia non esiste la pena di morte. Ma se tutti i cittadini hanno il dovere di rispettare le leggi, la Costituzione considera questo dovere ancora più grande per coloro che lavorano per lo Stato o per gli enti pubblici, come i giudici, i poliziotti, i soldati, i funzionari e gli impiegati: l’articolo 28 dice che quando essi violano i diritti degli altri, ne rispondono sia loro sia lo Stato o l’ente per cui lavorano. Questo concetto si chiama “responsabilità civile”.
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