sabato 21 marzo 2015
​Nella sua visita a Napoli Papa Francesco ha incontrato in Duomo i sacerdoti, i religiosi, i diaconi permanenti e i seminaristi. Un invito alla fraternità e alla riscoperta della gioia della vita consacrata.
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Nella sua visita a Napoli Papa Francesco ha incontrato in Duomo i sacerdoti, i religiosi, i diaconi permanenti e i seminaristi. Nel corso dell’incontro, al quale hanno preso parte anche le Claustrali della diocesi, dopo le domande postegli dal Vicario Episcopale per il Clero e dal Vicario Episcopale per la Vita Consacrata, Papa Francesco ha rivolto ai presenti un discorso a braccio, dando per letto quello preparato. Questo il testo preparato dal Santo Padre Francesco: Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio! Vi ringrazio per la vostra accoglienza in questo luogo-simbolo della fede e della storia di Napoli: la Cattedrale. Grazie, Signor Cardinale, per aver introdotto questo nostro incontro; e grazie ai due fratelli che hanno posto le domande a nome di tutti. Vorrei partire da quella espressione che ha detto il Vicario per il Clero: “Essere preti è bello”. Sì, è bello essere preti, e anche essere consacrati. Mi rivolgo prima ai sacerdoti, e poi ai consacrati. Condivido con voi la sorpresa sempre nuova di essere chiamato dal Signore a seguirlo, a stare con Lui, ad andare verso la gente portando la sua parola, il suo perdono… Davvero, è una cosa grande che ci è capitata, una grazia del Signore che si rinnova ogni giorno. Immagino che in una realtà impegnativa come Napoli, con antiche e nuove sfide, ci si butta a capofitto per andare incontro alle necessità di tanti fratelli e sorelle, correndo il rischio di venire totalmente assorbiti. Occorre sempre trovare il tempo per stare davanti al Tabernacolo, sostare lì in silenzio, per sentire su di noi lo sguardo di Gesù, che ci rinnova e ci rianima. E se lo stare davanti a Gesù ci inquieta un po’, è buon segno, ci farà bene! È proprio della preghiera mostrarci se stiamo camminando sulla via della vita o su quella della menzogna, come dice il Salmo (cfr 138,24), se lavoriamo come buoni operai oppure siamo diventati degli “impiegati”, se siamo dei “canali” aperti, attraverso cui scorre l’amore e la grazia del Signore, o se invece mettiamo al centro noi stessi, finendo per diventare degli “schermi” che non aiutano l’incontro con il Signore. E poi c’è la bellezza della fraternità, dell’essere preti insieme, del seguire il Signore non da soli, non individualmente, ma insieme, nella grande varietà dei doni e delle personalità, e il tutto vissuto nella comunione e nella fraternità. Anche questo non è facile, non è immediato e scontato, perché anche noi preti viviamo immersi in questa cultura soggettivistica di oggi, che esalta l’io fino ad idolatrarlo. E poi c’è anche un certo individualismo pastorale, che comporta la tentazione di andare avanti da soli, o con il piccolo gruppo di quelli che “la pensano come me”… Sappiamo invece che tutti sono chiamati a vivere la comunione in Cristo nel presbiterio, intorno al Vescovo. Si possono, anzi si devono cercare sempre forme concrete adeguate ai tempi e alla realtà del territorio, ma questa ricerca pastorale e missionaria va fatta in atteggiamento di comunione, con umiltà e fraternità. E non dimentichiamo la bellezza del camminare con il popolo. So che da qualche anno la vostra comunità diocesana ha intrapreso un impegnativo percorso di riscoperta della fede, a contatto con una realtà cittadina che vuole rialzarsi e ha bisogno della collaborazione di tutti. Vi incoraggio pertanto ad uscire per andare incontro all’altro, ad aprire le porte e raggiungere le famiglie, gli ammalati, i giovani, gli anziani, là dove vivono, cercandoli, affiancandoli, sostenendoli, per celebrare con loro la liturgia della vita. In particolare, sarà bello accompagnare le famiglie nella sfida di generare ed educare i figli. I bambini sono un “segno diagnostico”, per vedere la salute della società. I bambini non vanno viziati, ma vanno amati! E noi sacerdoti siamo chiamati ad accompagnare le famiglie perché i bambini siano educati alla vita cristiana. Il secondo intervento faceva riferimento alla vita consacrata, e ha menzionato luci e ombre. C’è sempre la tentazione di sottolineare di più le ombre a discapito delle luci. Questo però porta a ripiegarci su noi stessi, a recriminare in continuazione, ad accusare sempre gli altri. E invece, specialmente durante questo Anno della Vita Consacrata, lasciamo emergere in noi e nelle nostre comunità la bellezza della nostra vocazione, perché sia vero che «dove ci sono i religiosi c’è gioia». Con questo spirito ho scritto la Lettera ai consacrati, e spero che vi stia aiutando nel vostro cammino personale e comunitario. Vorrei domandarvi: com’è il “clima” nelle vostre comunità? C’è questa gratitudine, c’è questa gioia di Dio che colma il nostro cuore? Se c’è questo, allora si realizza il mio auspicio che non ci siano tra noi volti tristi, persone scontente e insoddisfatte, perché “una sequela triste è una triste sequela” (ivi, II, 1). Cari fratelli e sorelle consacrati, vi auguro di testimoniare, con umiltà e semplicità, che la vita consacrata è un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo. Un dono da non trattenere per sé stessi, ma da condividere, portando Cristo in ogni angolo di questa città. Che la vostra quotidiana gratitudine a Dio trovi espressione nel desiderio di attirare i cuori a Lui, e di accompagnarli nel cammino. Sia nella vita contemplativa, sia in quella apostolica, possiate sentire forte in voi l’amore per la Chiesa e contribuire, mediante il vostro specifico carisma, alla sua missione di proclamare il Vangelo e di edificare il popolo di Dio nell’unità, nella santità e nell’amore. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio. Andiamo avanti, animati dal comune amore per il Signore e per la santa madre Chiesa. Vi benedico di cuore. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
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