martedì 22 aprile 2025
Sapeva parlare al cuore della gente perché usava un linguaggio semplice, diretto, quotidiano. Con l'aggiunta di aneddoti dall'esperienza comune
Papa Francesco a un pranzo con i poveri

Papa Francesco a un pranzo con i poveri - ANSA

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Fin dalle prime parole pronunciate in piazza San Pietro la sera della sua elezione, da quel semplice “buonasera”, un aspetto è apparso chiaro del carisma di questo Papa venuto da lontano: era uno che sapeva parlare al cuore della gente perché usava un linguaggio semplice, diretto, quotidiano. A questa franchezza, poi, Francesco ha sempre accostato l’uso di gesti e immagini tratte dall’esperienza comune, dosate con un pizzico di creatività. Ne è nato un suo personale vocabolario, che nel tempo si è arricchito, fino a diventare uno strumento di comunicazione e di relazione. In queste pagine diamo conto solo di alcune delle sue espressioni più amate e significative, che gli hanno permesso di superare i filtri e di andare diritto al cuore delle persone.

BALCONEARE

Il rischio più grande per il cuore dell’uomo è diventare ostaggio dell’indifferenza, appesantirsi al punto da osservare la realtà che lo circonda come se non lo riguardasse. Per spiegare questa condizione, triste e pericolosissima, papa Francesco ha usato numerose volte, specie a inizio pontificato, il termine balconear. Si tratta di un’espressione tipica del gergo argentino, usata soprattutto a Buenos Aires, che indica il distacco proprio di chi non si immischia, non vuole sporcarsi le mani, sta a guardare dalla finestra o, appunto, dal balcone, senza nessuna partecipazione emotiva che non sia una sterile curiosità. Nel 2017 a Bozzolo, durante la visita alla tomba di don Primo Mazzolari, Francesco fu molto chiaro nel condannare questa filosofia del lasciar fare, di balconear la vita, disse, per cui ci si accontenta di criticare magari con compiacimento gli errori del mondo, illudendosi che questo distacco, spesso anche presuntuoso, significhi essere liberi. La realtà è profondamente diversa. Non interessarsi a nulla, lasciando che l’esistenza ci scivoli addosso, può equivalere a consegnarla a chi non vede l’ora di usarla per i propri fini. Un pericolo cui sono particolarmente esposti i giovani che non a caso, in più occasioni, il Papa ha sollecitato a non farsi rubare i sogni, a essere i protagonisti del cambiamento, a costruire un futuro diverso. Ma perché questo domani sia all’insegna della condivisione e dell’amicizia, occorre scendere per strada, sostenere chi fa fatica, ascoltare le sofferenze dell’altro. Lo insegna in modo estremamente chiaro il Vangelo, che non è un racconto fantasioso che si può “balconeare” ma una chiamata all’amore da vivere ogni giorno insieme agli altri. (Ricc.Macc.)

BUON PRANZO

Tra i segreti, se possiamo dire così, che hanno reso familiare e comprensibile a tutti il linguaggio di papa Francesco, c’è stato l’uso di immagini semplici, il suo pescare a piene mani nei gesti e nelle abitudini della gente comune. Una caratteristica che risultava evidente agli Angelus che si concludevano immancabilmente con l’invito a pregare per lui. Non prima però di aver augurato “buon pranzo”. Una frase banale, si dirà, ma che in realtà era il modo con cui il Pontefice argentino sottolineava una volta di più il suo essere parte dello stesso mondo di abitudini e di tradizioni delle persone cui proponeva le sue catechesi. Era come se Francesco si sedesse idealmente a tavola con gli uomini e le donne che lo seguivano tramite la tv, per continuare a parlare di Gesù, dello straordinario dono che fosse loro amico e maestro, interessatissimo a qualsiasi cosa facessero. Il vocabolario della quotidianità come cifra comunicativa, potrebbero dire gli esperti, anche se le formule hanno sempre qualcosa di artificioso mentre qui a fare la differenza era il cuore, il desiderio di stabilire un contatto con tutti, compresi i lontani. E a confermare questa volontà di far sentire sé stesso e quindi la Chiesa vicina, non mancava mai un riferimento alla bellezza di stare insieme, quella che trova radice nell’impegno a diffondere il Vangelo e il suo messaggio di gioia, che non nega le sofferenze ma le affronta con la forza della preghiera, il coraggio della carità e la difficilissima scelta della misericordia. Con un “buon pranzo” Francesco sottolineava la meravigliosa realtà di appartenere tutti alla stessa famiglia umana. (Ricc.Macc.)

CHIACCHIERICCIO

Alzi la mano chi non ha mai sentito papa Francesco parlare del “chiacchiericcio”. Forse nessuno, dato che, tra le espressioni tipiche del Pontefice argentino, questa è sicuramente una delle più usate. Impossibile contare quante volte l’ha adoperata specie rivolgendosi alle comunità dei religiosi e delle religiose. Una cosa è certa: Bergoglio, forte della sua esperienza personale in una congregazione religiosa, ha sempre sentito l’esigenza di mettere in guardia i confratelli da questo male.
Per “chiacchiericcio” il Papa intendeva il pettegolezzo, lo sparlare degli altri alle spalle, il denigrarli senza avere il coraggio di affrontare la questione a tu per tu con il diretto interessato. Una pratica infida e malvagia, condannata senza mezzi termini, come è facile ricavare dal florilegio di citazioni presenti nei suoi discorsi. Il chiacchiericcio «è il contrario del Vangelo, perché è sempre una condanna dell’altro», disse il 6 dicembre 2024 alle suore carmelitane Messaggere dello Spirito Santo. All’Angelus del 23 settembre 2023 spiegò: «Non mi stanco di ripetere che il chiacchiericcio è una peste per la vita delle persone e delle comunità, perché porta divisione, sofferenza e scandalo, e mai aiuta a migliorare e a crescere». E in un altro Angelus, quello dell’8 gennaio 2023, affermò: «Il chiacchiericcio è un’arma letale. Uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza». Un elenco di motivazioni che potrebbe continuare a lungo. (M.M.)

GLOBALIZZAZIONE DELL'INDIFFERENZA

Del bagaglio di doti comunicative che hanno permesso a papa Francesco di rendere comprensibile a tutti la visione cristiana dell’uomo fa parte l’uso di categorie delle discipline “secolari” in cui ha introdotto la lettura evangelica della realtà. Un esempio da manuale è il concetto di “globalizzazione dell’indifferenza”, che coglie una definizione di matrice economica – la globalità, plasmata dai mercati e dalla tecnologica che hanno unito il mondo livellandolo nel nome del guadagno e dell’efficienza – per mostrarne il limite insieme al potenziale di far degenerare i rapporti tra persone e popoli. Il Papa ha così mostrato che quello che era stato promesso come un vantaggio collettivo si è trasformato nello svuotamento dell’umanità in ciò che ha di decisivo: la capacità di sentirsi comunità, di essere solidale, di vivere una fraternità universale. L’indifferenza, ci ha insegnato Francesco, cresce dentro cuori abituati a non vedere più gli altri perché ripiegati nella ricerca del proprio interesse, del vantaggio personale, dell’autoaffermazione., in un individualismo narcisistico Francesco scolpì il concetto con parole indimenticabili a Lampedusa, l’8 luglio 2013: «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi, porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!». (F.O.)

DONNA

Via i vecchi pregiudizi e via anche i nuovi conformismi del politicamente corretto; il rapporto genuinamente empatico di papa Francesco con le donne si è alimentato della vicinanza di figure femminili significative lungo la sua vita familiare e nel suo ministero di prete e di vescovo. A partire dalla nonna piemontese, Rosa, che in tanti discorsi Francesco ha richiamato come radice della sua educazione umana e cristiana. Le donne per il Papa sono «fonte di vita», coloro «che fanno bello il mondo». «Se abbiamo a cuore l’avvenire, se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alle donne», ha detto più volte. La Chiesa per papa Francesco è donna, e ha bisogno di più donne nei ruoli attivi. Così Bergoglio nel suo pontificato ha dedicato una attenzione speciale alle nomine femminili – inedite – nei Dicasteri vaticani, dando concretezza alle sue parole. Il 6 gennaio 2025, ad esempio, Francesco ha nominato suor Simona Brambilla prefetta del Dicastero per la vita consacrata e le Società di vita apostolica. Ente di cui la religiosa era già segretaria dal 7 ottobre 2023; seconda donna a ricoprire questo incarico nella Curia romana dopo la nomina nel 2021 di suor Alessandra Smerilli al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. E il 15 febbraio è arrivata la nomina (dal 1° marzo) di suor Raffaella Petrini come prima donna presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. (A.Ma.)

CLERICALISMO

«Il clericalismo è una frusta, è un flagello, una forma di mondanità che sporca e danneggia il volto della sposa del Signore, schiavizza il santo popolo fedele di Dio». Papa Francesco non è mai stato tenero verso questo aspetto della Chiesa e, soprattutto dei suoi ministri, alcuni dei quali magari «basano la propria vita ecclesiastica nella carriera e negli incarichi». «Il clericalismo è un atteggiamento di distanza e di superiorità – ha detto in diverse occasioni papa Francesco – nei confronti del popolo di Dio. Vale la pena di ricordare che anche i laici possono incorrere negli atteggiamenti tipici del clericalismo, quando vengono meno al loro ruolo di cristiani testimoni di Cristo e demandano ogni cosa ai preti, come se la Chiesa fosse «cosa loro» e non la comunità a cui tutti apparteniamo». Quindi un rischio che non è prerogativa dei soli sacerdoti o consacrati, avvertiva ancora il Pontefice, che comunque ha sempre indicato nella capacità di porsi in mezzo alla gente, nella capacità di ascolto, alcuni degli antidoti al clericalismo. Rifuggire la mondanità e «guardare a Gesù crocifisso, fissare ogni giorno lo sguardo su Colui che ha spogliato sé stesso e si è abbassato alla morte». Ed estende l’invito anche ai laici ricordando che «si può infatti assumere uno “spirito clericale” nell’esercizio dei ministeri e dei carismi, vivendo la propria vocazione in modo elitario, chiudendosi nel proprio gruppo ed erigere muri contro l’esterno, sviluppando legami possessivi in relazione ai ruoli nella comunità. coltivando atteggiamenti arroganti e vanagloriosi verso gli altri». (E.L.)

GUERRA MONDIALE A PEZZI

La butta là, a mo’ di frase riportata, nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Seul, il 18 agosto 2014. Nel rispondere al giornalista giapponese, Yoshimori Fukushimi, del Mainichi Shimbun, papa Francesco impiega, per la prima volta, la categoria di “Terza guerra mondiale” “ma a pezzi” come chiave di lettura del presente ferito dal moltiplicarsi degli scenari bellici. L’espressione si impone immediatamente: analisti, commentatori, ricercatori la riprendono per descrivere il sempre più conflittuale scenario globale. Il Pontefice, da parte sua, torna sul concetto in infinite occasioni. L’invasione russa dell’Ucraina lo porta ad aggiornarlo. Il 10 settembre 2022, al cospetto degli scienziati internazionali riuniti alla Pontificia accademia delle scienze afferma: «I numerosi conflitti armati che sono in corso preoccupano seriamente. Ho detto che era una terza guerra mondiale “a pezzi”; oggi forse possiamo dire “totale”, e i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori». Di nuovo, nel discorso al corpo diplomatico del 2024, ribadisce: «Il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale». Alimentata dal fiorente commercio delle armi, questa compagine bellica si accanisce in modo indiscriminato sui civili, fino a minacciare, grazie all’irresponsabile possesso dell’atomica, la sopravvivenza stessa della specie umana. L’unica via di salvezza è quella supplicata in una piazza San Pietro spettrale per la pandemia: “Nessuno si salva da solo”. La fraternità, sogno di Fratelli tutti, in ambito internazionale passa per la costruzione, faticosa e imperfetta, del multilateralismo. (L.C.)

OSPEDALE DA CAMPO

«Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso». Quella dell’ospedale da campo è un’immagine che papa Francesco ha usato molto spesso nel suo Pontificato. Ma è significativo che ha cominciato a farlo pochi mesi dopo la sua elezione in una lunga intervista concessa a “La Civiltà Cattolica”. L’idea del Pontefice è sempre stata chiara: ci sono delle ferite che nel corpo della Chiesa il tempo ha lasciato e occorre curarle subito. La sua azione riformatrice in molti campo nasce proprio da qui. Le azioni volte a “lenire”, se non proprio “curare”, quelle ferite presenti nelle comunità ecclesiali. E di ferite ce ne sono state molte, a cominciare da quella creata dagli abusi compiuti da sacerdoti o religiosi ai danni di minori o persone fragili. Anche l’indizione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia nel 2016 è stata una delle strade scelte per curare le ferite ricordando a tutti il volto misericordioso del Padre. L’ospedale da campo, di fatto, è diventato nel pontificato di Bergoglio, una indicazione di azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Ci si potrebbe unire un’altra espressione tanto cara al Papa, che è quella di “Chiesa in uscita”. In entrambi i casi papa Francesco ha sempre richiamato la comunità cattolica a essere segno visibile dell’amore di Cristo nel mondo, sapendo anche riconoscere i propri errori e le proprie mancanze. (E.L.)

INFLUENCER DI DIO

Papa Francesco ha saputo fare suo il linguaggio dei giovani per mostrare loro cosa vuol dire mettere Dio al centro. E questo è apparso chiaramente davanti agli occhi di tutto il mondo alla Gmg di Panama nel 2019, quando definì Maria una «influencer di Dio». Una definizione particolare, che nasce però da lontano, da un rapporto con le nuove generazioni sempre coltivato e fatto crescere, fin dal primo viaggio internazionale per la Gmg in Brasile, quando Francesco invitò le nuove generazioni a fare baccano, a farsi sentire, a vivere una vita piena. Da lì in poi sono state tante le espressioni con le quali il Papa argentino ha cercato di valorizzare le energie positive tipiche dell’età di chi ha tutta la vita davanti. Piano piano, Francesco ha dimostrato anche di sapere entrare nel mondo giovanile, mettendosi in ascolto. Prima di tutto attraverso i gesti: restano memorabili i tanti selfie scattati con i giovani nel 2018 durante gli eventi legati all’Assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata proprio alle nuove generazioni. E ancora prima l’appello a non diventare «giovani-divano» durante la Gmg di Cracovia nel 2016.
«Senza dubbio la giovane di Nazaret non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca – disse Francesco a Panama durante la grande veglia del 26 gennaio 2019 –, lei non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia. E le possiamo dire, con fiducia di figli: Maria, la “influencer” di Dio. Con poche parole – aggiunse il Papa – ha avuto il coraggio di dire “sì” e confidare nell’amore, a confidare nelle promesse di Dio, che è l’unica forza capace di rinnovare, di fare nuove tutte le cose». (M.L.)

SINODALITÀ

Tra le eredità del Concilio, cui Francesco ha sempre guardato come alla sorgente della sua visione di Chiesa, la “sinodalità” riporta alle origini del cristianesimo e dello stesso pontificato, come il Papa preannunciò sin dal suo primo apparire dopo l’elezione, il 13 marzo 2013: «E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo». A quelle parole sorgive Francesco è rimasto fedele come a un’idea portante, trasmessa attraverso l’impegno nel rendere la Chiesa sempre più “popolo di Dio” rispetto al quale il Papa – e i pastori con lui – cammina “davanti, in mezzo e dietro”. Una ecclesiologia che si è resa esplicita nel percorso lungo il quale Francesco ha impegnato la Chiesa per quattro anni (dal 2021 al 2024, con ben due assemblee in Vaticano e cantieri nazionali come quello che ancora coinvolge la Chiesa italiana) allo scopo di far interiorizzare la sinodalità come metodo per vivere la fede, fare esperienza della comunità, scegliere la via per l’annuncio del Vangelo oggi. Intendendo per “sinodo” il “camminare insieme”, la sinodalità nella visione di Francesco diventa il volto di una Chiesa che si apre all’ascolto: del mondo, certo, ma anzitutto dello Spirito, come spiegò aprendo il 4 ottobre 2023 la prima assemblea sulla “Chiesa sinodale”: «Il Sinodo non è un parlamento, è un’altra cosa; non è una riunione di amici per risolvere alcune cose del momento o dare le opinioni. Il protagonista del Sinodo non siamo noi: è lo Spirito Santo. (...) Se in mezzo a noi ci sono altri modi di andare avanti per interessi sia umani, personali, ideologici, non sarà un Sinodo, sarà una riunione più parlamentare, che è un’altra cosa. Sinodo è un cammino che fa lo Spirito Santo». (F.O.)

ODORE DELLE PECORE

Il 28 marzo 2013 erano passate appena due settimane dall’elezione e papa Francesco presiedeva la sua prima Messa del Crisma da Pontefice. Fu lì, davanti ai preti, nel giorno dedicato proprio al ministero sacerdotale, che Bergoglio indicò con chiarezza lo stile che chiunque abbia un ruolo di responsabilità nelle comunità cristiane è chiamato a coltivare. «Questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”», disse il Pontefice. «Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore – spiegò in quell’occasione Francesco –. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore”».
Era uno dei primi fondamentali mattoni dell’architettura della «Chiesa in uscita», alla quale, come instancabile operaio, papa Francesco ha lavorato fino alla fine. E più volte, poi, ha ricordato questo concetto, spiegandone il senso di questo stile, che significa essere «persone capaci di vivere, di ridere e di piangere con la gente, in una parola, di comunicare con essa», come sottolineava nel 2021 parlando ai sacerdoti del Convitto San Luigi dei Francesi a Roma. Una sfida grande per i preti e i responsabili delle comunità, a cui Francesco, con questa espressione, ha sempre chiesto di «spogliarsi di se stessi» e abbandonare le idee precostituite per mettere al centro Dio e le persone. (M.L.)

SCARTO

È una delle categorie centrali del pensiero di Francesco: lo “scarto” e l’intera “cultura” di cui costituisce il cuore – un vero sistema ideologico – è l’immagine con la quale il Papa ha voluto evidenziare la devastante conseguenza di una società che si consegna alle categorie del consumo, dell’efficienza e del profitto: nella “cultura dello scarto” l’uomo è ridotto a oggetto, merce, biologia, è privato della sua dignità intangibile così da poter essere “usato” e “gettato”. Sin dal suo primo apparire, in un discorso del maggio 2013 , la “cultura dello scarto” introdusse una nuova e illuminante categoria del magistero sociale della Chiesa: «La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia – disse Francesco – sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto». Una lettura tornata poi innumerevoli volte per descrivere l’umiliazione della persona: «Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Non può essere così! Eppure queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada non fa notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse costituisce una tragedia. Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti. Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti». (F.O.)


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