Leone XIV all'Angelus: «Chi crede nella pace oggi è spesso ridicolizzato»
di Agnese Palmucci, Roma
Durante la preghiera mariana, nella festa di Santo Stefano, il Papa ha ricordato ai potenti della Terra che il cristiano «non ha nemici ma fratelli e sorelle», e come il Protomartire è chiamato a "perdonare" «per una forza più vera di quella delle armi».

È il volto di Santo Stefano che si concede al martirio, la sua «luce», la sua «mitezza», a raccontare all’umanità come si diventa veri uomini e donne di pace. «Nel ricordo di Santo Stefano primo Martire, - ha sottolineato papa Leone XIV durante la preghiera dell’Angelus di stamattina, dal Palazzo apostolico - invochiamo la sua intercessione perché renda forte la nostra fede e sostenga le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza cristiana». Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del sacrificio dell’apostolo, ha aggiunto il Pontefice davanti a pellegrini, cittadini e turisti riuniti in piazza San Pietro, «il suo esempio di mitezza, di coraggio e di perdono accompagni quanti si impegnano nelle situazioni di conflitto per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace». Le parole di Prevost arrivano a poche ore dall'operazione militare degli Stati Uniti, nella notte di oggi, contro le basi terroristiche dell’Isis in Nigeria, rivendicati dal presidente Donald Trump come risposta al «massacro» dei cristiani locali.
«Chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù e dei martiri è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici», ha affermato il Papa. Il cristiano, però, «non ha nemici, ma fratelli e sorelle, che rimangono tali anche quando non ci si comprende», ha ribadito con chiarezza, rivolgendosi anche e soprattutto ai governanti e ai leader globali, parte in causa nei negoziati di pace per i Paesi coinvolti nei conflitti. E anche se «nelle condizioni di incertezza e di sofferenza del mondo attuale sembrerebbe impossibile la gioia», ha continuato, è proprio il «il Mistero del Natale», a mostrare concretamente da dove nasce questa «gioia» del credente. Si tratta di un’esperienza che ribalta la visione della vita e di ciò che accade, «una gioia motivata dalla tenacia di chi già vive la fraternità, di chi già riconosce attorno a sé, anche nei propri avversari, la dignità indelebile di figlie e figli di Dio».

Anche qui la figura di Santo Stefano torna a rendere più chiara la chiamata di chi si professa cristiano. «Per questo Stefano morì perdonando, come Gesù: per una forza più vera di quella delle armi», ha specificato papa Leone XIV. Non una capacità eroica o divina, ma «una forza gratuita, già presente nel cuore di tutti, che si riattiva e si comunica in modo irresistibile quando qualcuno incomincia a guardare diversamente il suo prossimo, a offrirgli attenzione e riconoscimento». Nel giorno della festa del Protomartire, Prevost ha anche ricordato come il martirio sia una «nascita al cielo», «uno sguardo di fede» di chi «persino nella morte non vede più soltanto il buio». Ciascuno viene al mondo «senza deciderlo» ma poi «passiamo attraverso molte esperienze in cui ci è chiesto sempre più consapevolmente di “venire alla luce”, di scegliere la luce», ha sottolineato il Papa, proprio come ha testimoniato Santo Stefano. Il racconto degli Atti degli Apostoli, infatti, «testimonia che chi vide Stefano andare verso il martirio fu sorpreso dalla luce del suo volto e delle sue parole». Il volto «di chi non se ne va indifferente dalla storia, ma la affronta con amore».
Certamente la proposta della vita cristiana, che nell’amore arriva anche fino al martirio, parla spesso anche di una «bellezza respinta», secondo il Vescovo di Roma. Proprio la «forza calamitante» di Gesù, «ha suscitato fin dall’inizio la reazione di chi teme per il proprio potere, di chi è smascherato nella sua ingiustizia da una bontà che rivela i pensieri dei cuori». Nessuna potenza, però, ha aggiunto, «può prevalere sull’opera di Dio», proprio perché «dovunque nel mondo c’è chi sceglie la giustizia anche se costa, chi antepone la pace alle proprie paure, chi serve i poveri invece di sé stesso». Così «germoglia allora la speranza, e ha senso fare festa malgrado tutto», ha concluso Prevost. Questo è «il nostro Natale»: «questo è rinascere, questo è venire nuovamente alla luce».
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