Insulti e volgarità. È finita un’epoca (anche nel linguaggio)

Il 2025 della comunicazione politica ha segnato una svolta. Verso il basso, sdoganando la parolaccia
December 31, 2025
Insulti e volgarità. È finita un’epoca (anche nel linguaggio)
Donald Trump /Imagoeconomica
C’erano una volta immagini, parole, slogan. Riempivano di visione e di significato le traiettorie di leader e partiti, convincevano milioni di persone di poter appartenere a un mondo fatto di valori, idee, proposte. Era la comunicazione politica e dobbiamo iniziare ad averne nostalgia. Quel mondo non c’è più e non da oggi. Tutto va talmente veloce che non ricordiamo più nulla. A parte il peggio che si vede, ovviamente. Ne abbiamo avuto la riprova quest’anno: la discesa di senso e di significato, a partire dal linguaggio di chi comanda, è parsa a tratti inarrestabile.
È stato soprattutto il consegnarsi dei potenti, vecchi e nuovi, alle logiche ricattatorie dei social a preoccupare. Non lo dicono commentatori bacchettoni o nostalgici di altre epoche: in fondo, fino a qualche anno fa, ci si scandalizzava per i sorrisini di scherno di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nei confronti di Silvio Berlusconi o per le corna fatte a favore di fotografo dallo stesso Cavaliere in un appuntamento ufficiale. Oggi è molto peggio e non è un’impressione. Lo hanno sostenuto recentemente alcuni ricercatori dell’Università Cattolica, de La Sapienza di Roma e dell’Università degli studi di Urbino, che attraverso un questionario rivolto a cittadini, politici e giornalisti, hanno sottolineato come in un Paese come l’Italia il 73,6% sia fortemente infastidito dal contesto da bar in cui si muove la comunicazione e ancor di più (76,6%) dall’inciviltà dei toni utilizzati dalla politica.
La novità di questo 2025, con la caduta degli ultimo tabù comunicativi, si è manifestata nello sdoganamento dell’insulto, nella libertà di parolaccia. È sufficiente una rapida carrellata delle espressioni volgari pronunciate dai più grandi leader mondiali per comprendere che siamo entrati, semmai ne avessimo avuto qualche dubbio prima, in una nuova stagione. Discorsi e battute dette in pubblico, senza alcun pudore, tali da far alzare il sopracciglio anche ai più scafati lobbisti e ai più esperti uomini di comunicazione. Parole in libertà, come al bar dello sport appunto, tali da rendere inutili e superflui consulenti e spin doctor. Se un leader può dire di pancia tutto quel che pensa, infatti, a cosa servono staff e consiglieri? Il principio è che vale tutto (e il suo contrario) senza limiti. Avete forse dimenticato il «kissing my ass» di trumpiana memoria, quel «baciatemi il c…», utilizzato per spiegare la reazione dei Paesi nel mirino dei temuti dazi americani? Oppure, più recentemente, l’etichetta di «maiali europei approfittatori» affibbiata da Vladimir Putin ai leader dei Ventisette accusati di aver seguito Joe Biden in modo acritico nella sua strategia anti-Mosca? La fine del “politicamente corretto” era già ampiamente nelle cose (e nelle parole) eppure stupisce la necessità di considerare cittadini ed elettori alla stregua di tifosi assatanati, alla ricerca di battute triviali e di un po’ di torpiloquio considerato necessario per mantenere i consensi.
L’effetto a catena, quando si abbassa il livello, è assicurato. Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, durante un recente briefing, ha replicato con due sole parole al giornalista che chiedeva chi avesse scelto Budapest come località di un possibile summit con Putin (poi mai avvenuto): «Tua madre» ha detto Leavitt. Anche il leader argentino, Xavier Milei, non si è risparmiato una serie di epiteti contro i nemici di sinistra, definiti via via «branco di babbuini, asini eunuchi», insulti che non hanno risparmiato (salvo successive scuse) papa Francesco. Al cattivo stil novo non pare dunque esserci limite, ma quel che inquieta è che ormai è impossibile ripetere volgarità in serie senza essere ascoltati e imitati. I social moltiplicano, ingrandiscono, enfatizzano e i leader sanno benissimo tutto questo. Nessuna speranza di redenzione, almeno a breve termine. Soltanto 80 anni fa, del resto, un umile italiano passato alla storia come statista, Alcide De Gasperi, partecipando tra i grandi sconfitti della Seconda guerra mondiale alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946, usò queste parole per catturare l’attenzione di un pubblico ostile: «Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». Altri tempi, altro stile, altro linguaggio. Appunto.

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