Il 2025 e il 2026: due anni che si incontrano sotto la regia di Trump
Lo scenario vede in primo piano la guerra in Ucraina, quella in Medio Oriente, le crisi in Africa e nelle Americhe. E l’Europa?

Se l’anno trascorso ci è parso confuso, il 2026 rischia di essere più caotico. Anello di congiunzione tra i due anni gli incontri del 28-29 dicembre a Ma-r-a-Lago, con Trump in una cabina di regia globale. Nel giro di poche ore accorrono in Florida il presidente ucraino Zelensky ed il primo ministro israeliano Netanyahu. Convitati di pietra il russo Putin, che spera di vincere (o far credere di aver vinto) una guerra disastrosa per il suo Paese, e il cinese Xi, che spera di vincere nella scalata verso un primato globale economico senza combattere alcuna guerra. Come dopo il vertice con Putin in Alaska, non sono incontri risolutivi.
Riguardo a Zelensky si pongono due temi. Il primo è la sicurezza dell’Ucraina (e quindi una pace duratura nel continente) che dipende da una linea di cessate il fuoco difendibile (senza cedere territori che Putin in quasi quattro anni non è stato capace di conquistare) e dal consentire a Kiev di avere delle Forze Armate adeguate nonché un sistema di protezione internazionale (realisticamente non la Nato). Il secondo è evitare la percezione nel mondo di un cedimento a Mosca: l’impressione di un’America non perseverante nei propri principi produrrebbe effetti destabilizzanti ancora più disastrosi della decisione di abbandonare l’Afghanistan. Antonio Tajani dà credito all’azione di Trump: è opportuno, se non altro serve a smascherare il massimalismo di Putin. Per quanto concerne l’incontro con Netanyahu, ci vorrà tempo per capire se a Gaza si riuscirà non solo a preservare un precario cessate il fuoco, ma anche a passare finalmente alla fase due del piano americano. Sarà importante che finalmente Israele riconosca un ruolo all’Autorità Palestinese.
In Ucraina come in Medio Oriente siamo sempre alla penultima puntata di una saga senza fine. La “guerra mondiale a pezzi” preconizzata da papa Francesco descrive una realtà che si può aggravare. Il 2025 ha confermato che non possiamo considerare separatamente tre grandi teatri di crisi: quello europeo (con l’aggressione russa all’Ucraina), quello mediorientale (con vari conflitti tra loro collegati) e quello dell’Asia orientale (con Taiwan e tensioni tra Cina e Giappone). Iran e Corea del Nord sostengono la Russia, forniture di materiale strategico cinese all’Iran sono state bloccate dagli americani: ecco alcuni dei tanti collegamenti tra i focolai di crisi. Le tessere del mosaico si integrano e si sono aggiunti due continenti, l’Africa e le Americhe. In Africa fattori destabilizzanti si alimentano tra loro: povertà, cambiamenti climatici, migrazioni, gruppi estremisti connessi a scenari mediorientali. Infine, le grandi potenze: la Cina, col suo peso economico, la Russia con la sua azione opportunistica in ambito securitario, e adesso l’America con l’attacco in Nigeria ad una base dei fanatici legati all’Isis, “regalo di Natale” di Trump ai cristiani della regione. C’è poi il nuovo rilievo delle Americhe. Per Washington conta non solo l’America Latina, con la pressione sul regime di Maduro in Venezuela, ma anche la Groenlandia, che geograficamente è parte del Nord America ed ha assunto un ruolo chiave per le rotte transoceaniche e per il potenziale di materie prime critiche.
E l’Europa? Apparentemente assente, ha interessi in ogni campo e ha carte da giocare. In Ucraina ha contribuito ad impedire la sopraffazione russa e in Africa, anche col Piano Mattei, può recuperare terreno. L’Europa deve agire e rafforzarsi, ma da sola non basta e, nonostante le evidenti difficoltà, rimarrà cruciale insistere, come fa Giorgia Meloni, nel preservare l’unità dell’Occidente. La situazione rimarrà imprevedibile e complessa, con attori e variabili che interagiscono. L’Europa ha fatto molto, ma deve fare di più: occorre stabilire priorità innovando, unire le forze in ogni settore, incluso quello della sicurezza che o è comune o non esiste per nessuno. Dobbiamo adeguarci ad un mondo che corre e governare tre transizioni che si intrecciano: ambientale, energetica e digitale. In questo disordine la sfida è essere lungimiranti in un contesto deteriorato da una guerra cognitiva nella quale la disinformazione è l’arma principale. Dovremo affrontare il passaggio da una logica binaria di scelte difficili ma definite ad una quasi quantistica con tante biglie in movimento. Questo richiederà agilità decisionale della classe dirigente per affrontare i cambiamenti. Soprattutto, occorre una speranza ostinata alimentata dal nostro impegno. Allora, come sarà il 2026? Dipende da noi.
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