Recidiva zero per il carcere: insieme si può

Il progetto del Cnel per le due principali criticità: sovraffollamento e lavoro. L'organo costituzionale può farsi ponte strutturale tra il sistema e la società. Più di 20 organizzazioni datoriali hanno deciso di sviluppare iniziative imprenditoriali in tuttii 189 istituti penitenziari. E al Parlamento sono già stati trasmessi due disegni di legge per un dibattito privo di ideologismi e portatore di soluzioni
December 30, 2025
Recidiva zero per il carcere: insieme si può
L'esterno del carcere di Salerno-Fuorni in Campania / Ansa
Il 14 dicembre scorso si è celebrato l’ultimo appuntamento giubilare dedicato alle persone detenute. Papa Leone, invitando tutti a guardare alla speranza e alla dignità di ogni persona – anche di chi è in carcere – ha rilanciato il messaggio che, un anno fa, papa Francesco ci aveva consegnato aprendo la Porta Santa nel carcere di Rebibbia. Raccogliendo e rilanciando il desiderio espresso da papa Francesco, il Santo Padre ha inoltre invitato molti Paesi a considerare forme di amnistia o di condono della pena, come strumenti per aiutare chi è privato della libertà a recuperare fiducia in sé e nella società. L’appello lanciato da Leone XIV si inserisce in una fase in cui, tanto nel dibattito politico-istituzionale quanto nella società civile, va maturando la consapevolezza che un sistema di esecuzione penale capace di assolvere a una funzione autentica di riparazione e di inclusione per coloro che hanno infranto il patto sociale costituisca il fondamento più solido per l’affermazione della sicurezza e della legalità nelle nostre comunità.
I dati del 2025 relativi al carcere ci confermano come il nostro sistema penitenziario non sia in ancora in grado di garantire, prima ancora della rieducazione e del reinserimento, una pena non contraria al senso di umanità, così come recita l’art.27 della Costituzione. Di certo l’Amministrazione penitenziaria soffre di carenze strutturali in termini di spazi, di risorse umane e di competenze in grado di fronteggiare un’utenza carceraria portatrice di sempre più estese problematiche di carattere sociale e sanitario: dalla elevata presenza di stranieri e di popolazione detenuta con problemi di tossicodipendenza. In uno scenario tanto complesso, affrontabile esclusivamente attraverso investimenti, interventi organizzativi e una visione di lungo periodo, restano due le principali criticità del nostro sistema: il sovraffollamento negli istituti e la mancanza di percorsi seri e certi di inclusione sociale e lavorativa. Alla fine di novembre si registrava un tasso di affollamento medio reale pari al 136%. Si tratta di una condizione che acuisce le criticità strutturali e organizzative del sistema, alimentando un clima di sofferenza diffusa tanto tra i detenuti quanto tra gli operatori penitenziari, costretti a spendere le loro professionalità in condizioni assai difficili tra dovere e umanità. Ne costituiscono una drammatica conferma l’allarmante incremento dei suicidi e l’aumento degli episodi di autolesionismo. Anche i dati del lavoro in carcere sono da tempo impietosi. In Italia il lavoro vero, professionalizzante e continuativo, in carcere coinvolge solo una sparuta minoranza di detenuti. I dati ufficiali ci dicono che se circa un detenuto su tre svolge un’attività lavorativa all’interno degli istituti penitenziari, lo fa in prevalenza alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, per poche ore al giorno, e per servizi interni agli istituti. Solo l’1% ha avuto l’opportunità di lavorare per imprese private profit e il 4% per cooperative sociali.
Sovraffollamento e assenza di opportunità lavorative costituiscono dunque il mix micidiale alla base del fallimento istituzionale e sociale della funzione rieducativa della pena in Italia. Il 2026 può rappresentare un anno importante per intervenire su entrambi i temi, ma solo a patto che ciascuno faccia la propria parte: politica, istituzioni e società civile. In questo senso anche il prossimo referendum sulla separazione delle carriere può offrire una buona occasione per mettere al centro dell’agenda politica del prossimo anno il tema giustizia nella sua globalità. In tale prospettiva il Ministro della Giustizia ha dichiarato che, dopo il referendum, il governo intende concentrarsi su una riforma del Codice di procedura penale, finalizzata a processi più rapidi e maggiormente rispettosi delle garanzie difensive; il Presidente del Senato auspica che nel 2026 il Parlamento affronti finalmente in modo concreto il tema carcerario e il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nel suo intervento al Corriere della Sera del 24 dicembre, ha richiamato alla necessità di nuovo sistema sanzionatorio e penitenziario condiviso «in una illuminata e bipartisan battaglia di civiltà». È proprio a partire da questa convergenza che si apre, dunque, lo spazio nel 2026 per una riflessione più concreta – e non più rinviabile – sulle politiche penali e penitenziarie. Ridurre il sovraffollamento non significa semplicemente “svuotare le carceri”, ma ripensare in modo sistemico l’esecuzione della pena. L’esperienza dimostra che l’inclusione lavorativa, soprattutto se avviata già durante la detenzione o nelle fasi finali della pena, consente di restituire autonomia, responsabilità e dignità. Ma il lavoro, da solo, non basta. È necessaria una presa in carico complessiva. Chi esce dal carcere senza un’occupazione stabile, senza una rete di relazioni e senza un supporto dei servizi territoriali ha un’altissima probabilità di tornare a delinquere.
È in questo quadro che si colloca l’impegno del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, speso negli ultimi due anni in un inedito ruolo di impulso e coordinamento attraverso il programma “Recidiva Zero”, piattaforma di azione concreta e di paziente messa in rete di istituzioni, imprese, parti sociali e società civile. Il Cnel, per missione costituzionale, composizione, Dna culturale e sociale, è il perfetto ponte per facilitare il dialogo tra sistema della giustizia e società civile. Grazie all’impegno del Cnel e del suo “Segretariato Permanente”, sono già più di 20 le organizzazioni datoriali nazionali che hanno deciso congiuntamente di sviluppare iniziative imprenditoriali in tutti i 189 istituti penitenziari italiani, recuperando spazi carcerari ad oggi inutilizzati e promuovendo azioni di inserimento lavorativo esterno. Inoltre, il Cnel ha promosso l'estensione del Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (Siisl), una piattaforma digitale del Ministero del Lavoro (gestita da Inps), alle persone in regime di detenzione, dando il via a una prima sperimentazione in otto istituti. Ma il Cnel, attraverso il programma “Recidiva zero”, ha voluto anche apportare un doveroso e responsabile impulso a Parlamento e Governo attraverso l’elaborazione di proposte normative finalizzate ad incidere in profondità sull’organizzazione della detenzione.
Sono già due i disegni di legge approvati dal Cnel e trasmessi al Parlamento proprio allo scopo di concorrere all’apertura di un dibattito privo di ideologismi e portatore di soluzioni a problemi la cui plastica evidenza è ormai innegabile. Un primo Ddl mira ad assicurare l'applicazione integrale dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl) ai detenuti che lavorano in carcere e a rendere sistematico lo sviluppo di attività lavorative e imprenditoriali negli istituti penitenziari, tra cui l'estensione della Legge Smuraglia. Un secondo disegno di legge individua soluzioni operative volte a facilitare l’attivazione di iniziative imprenditoriali all’interno degli istituti e rafforzare il collegamento tra carcere e agenzie per l’impiego. La sfida che ci attende nell’anno ormai alle porte è, dunque, insieme culturale e politica. Ridurre il sovraffollamento carcerario attraverso misure alternative e percorsi di inclusione non è tanto un atto di indulgenza gentilmente concessa, quanto una scelta consapevole, intessuta di razionalità e sicurezza: un autentico investimento di civiltà comunitaria. Il messaggio che arriva dal Giubileo, dalle parole dei Pontefici e dal confronto istituzionale in corso è chiaro. Mobilitare la società civile, le istituzioni, il mondo del lavoro e delle imprese è l’unica strada per trasformare la pena da tempo sospeso a occasione di cambiamento.
È possibile dunque ridurre la permanenza in carcere delle persone, con coraggiosi e responsabili istituti di giustizia premiale come lo sono: la proposta dell’On. Giachetti sulla liberazione anticipata per buona condotta; la proposta del Ministro Nordio sulla detenzione differenziata per le persone con problemi di dipendenza; le proposte del Vice-presidente del Csm Pinelli di rafforzare percorsi alternativi al carcere; la proposta dal Presidente del tribunale di sorveglianza di Palermo Nicola Mazzamuto fatta in occasione del Giubileo dei detenuti di indulto subordinato a un progetto individualizzato di reinserimento sociale. Tutte queste proposte, però, richiedono necessariamente un’assunzione di responsabilità congiunta da parte dell’Amministrazione penitenziaria, delle istituzioni territoriali e della società civile a strutturare e sostenere nel tempo percorsi integrali di inclusione che prevedano scuola, formazione, lavoro e presa in carico in carcere e fuori dal carcere. Oltre alla certezza della pena, caposaldo del nostro sistema giudiziario, dobbiamo impegnarci nel garantire la certezza dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Interventi deflattivi non accompagnati da percorsi di inclusione e riparativi non risolvono nel lungo periodo i problemi anzi rischiano di avere un impatto negativo sul senso di giustizia e di sicurezza sociale nelle comunità e nei territori dove le persone in uscita dal carcere ritornerebbero.
Su questo, ciascuno deve assumersi la propria responsabilità. Le persone detenute devono, senza perdere la speranza, impegnarsi in un percorso di cambiamento e inclusione che dev’essere necessariamente monitorato e valutato durante l’intero processo. L’Amministrazione penitenziaria deve garantire migliori condizioni organizzative e ambientali a supporto dell’efficace svolgimento di percorsi di rieducazione e inclusione lavorativa, assicurando alla funzione rieducativa adeguate quantità di risorse finanziarie e di capitale umano, oggi primariamente dedicate alla sicurezza. Le istituzioni pubbliche territoriali devono impegnarsi a costruire e rafforzare l’ampia rete di servizi sociali, sanitari, abitativi e di presa in carico per un efficace accompagnamento delle persone fuori dal carcere. La società civile (imprese, cooperazione sociale, mondo del volontariato e della filantropia) deve mobilitarsi per garantire continuità nei progetti rieducativi a aumentare scala e impatto degli interventi. Solo così si abbatte la recidiva e si ha pieno reinserimento. Certezza della pena, risarcimento delle vittime, sicurezza, senso di umanità e inclusione sociale, premialità e responsabilità: tutto si tiene in un unico progetto di civiltà giuridica e di investimento sociale. Solo così potremo ridurre il sovraffollamento carcerario e abbattere la recidiva. Ci guadagniamo tutti. È su questa responsabilità collettiva che si misura la qualità del nostro progetto democratico e, dunque, anche l’impegno difficile, ma non impossibile, del Cnel quale luogo di ascolto, dialogo e protagonismo delle istituzioni, delle forze economiche, sociali e civili. Nessuno ce la può fare da solo. La complessità della sfida richiede necessariamente una visione comune e una risposta collettiva di coraggio e responsabilità.
Presidente del Cnel

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