Bollate, settimo reparto: dove chi ha commesso un reato sessuale prova a redimersi

Siamo stati all'interno dell'unità di trattamento intensificato del carcere lombardo, dedicato a chi ha aderito volontariamente a un percorso trattamentale. Così gli esperti ascoltano il dolore provocato dagli uomini e chiedono loro di elaborare i traumi causati
December 30, 2025
Bollate, settimo reparto: dove chi ha commesso un reato sessuale prova a redimersi
C’è un uomo di circa sessant’anni che piange su una sedia. Tra i singhiozzi dice di essere «doloroso», e intende che sta soffrendo. Una quarantina di uomini intorno a lui lo ascoltano in silenzio. Le sedie sono disposte lungo il perimetro della stanza, quadrata, e tutti si possono guardare negli occhi. Per entrare in questa stanza bisogna salire al secondo piano del settimo reparto della casa di reclusione di Bollate dove si trova l’Unità di trattamento intensificato (UTI) per gli autori di reati sessuali.
Lì si tengono le assemblee presiedute dal criminologo Paolo Giulini. Ed è la sua l’unica voce a interrompere il pianto di Aldo (nome di fantasia) dall’altro capo della sala: «È molto più doloroso subire una violenza sessuale». Qualche giorno prima hanno ascoltato la testimonianza di una vittima. Aldo continua ad affannare ma annuisce: «Sette anni fa, non capivo, io non pensavo di aver arrecato danni. Non riuscirò mai davvero a comprendere quello che ho fatto» aggiunge con un soffio. E poi resta in silenzio. È l’ultima assemblea dell’anno, nei prossimi giorni i detenuti riceveranno, durante colloqui individuali, le considerazioni sul loro percorso e un’indicazione da parte dell’equipe sul rinnovare il percorso con un’altra annualità o meno. Tutti gli uomini seduti ai lati della stanza hanno commesso un reato sessuale e hanno aderito volontariamente al percorso trattamentale, firmando un contratto dopo un periodo di prova e di valutazione.
«Chi fa parte dell’Unità deve rispettare le regole, partecipare a tutte le attività di gruppo e deve lavorare su se stesso e sul suo reato» spiega il professor Giulini, fondatore del Centro italiano per la promozione della mediazione, una cooperativa sociale che dal 1995 si occupa di promuovere pratiche di giustizia riparativa e che da vent’anni interviene con percorsi trattamentali a Bollate. Oltre alle assemblee con Giulini il programma dell’Unità prevede ogni settimana incontri di yoga e meditazione, il gruppo motivazionale, quello sulla gestione dello stress, l’attività motoria, il gruppo di prevenzione della recidiva e quello di abilità sociali. «I reati sessuali sono legati a una mancanza relazionale e se non si agisce su questo aspetto la violenza sarà reiterata» chiarisce il criminologo.
Infatti spesso la detenzione rafforza i sentimenti di rabbia e la percezione di sé come vittima. Nel 2022 secondo la Commissione d’inchiesta sul femminicidio «coloro che agiscono violenza contro le donne tendono ad atti aggressivi sempre più gravi e, in assenza di un intervento, recidivano nell’85% dei casi». Alla luce di queste evidenze da tre anni è stata allestita una seconda unità, sempre nel settimo reparto di Bollate, rivolta a chi commette reati contro le donne. Il trattamento è strutturato sul lavoro collettivo, tutte le attività, dall’arteterapia al cineforum, si svolgono in gruppo. Sergio Martinelli, che coordina l’attività motoria, sottolinea che «quando si fa uno sport di squadra non ci si può nascondere: competitività, aggressività, gestione del fallimento, emerge tutto». Ma l’attività fisica non è fine a se stessa: «Prima di iniziare ci riuniamo in cerchio e chiedo a tutti come stanno - continua Martinelli - e dopo l’attività lo rifaccio. Le risposte sono molto diverse».
Martinelli, ex-calciatore, è nell’equipe dell’UTI fin dall’inizio, «quando Giulini mi ha chiesto di aiutarlo in questo progetto gli ho domandato perché volesse lavorare proprio con uomini che fanno queste cose, e lui mi ha risposto: “Se riusciamo a evitare che anche uno solo di loro torni a violentare una donna o un bambino, siamo riusciti nel nostro lavoro”». 
Il programma di trattamento portato avanti nell’Unità di Bollate ha portato il tasso di recidiva sotto il 4% e rispecchia l’approccio del direttore dell’istituto Giorgio Leggieri: «Perché il carcere non deve essere un contenitore dove le persone arrivano e stanno lì. A Bollate non facciamo niente di straordinario, niente che non sia previsto dalla legge, che poi in altri istituti non sia implementato è un’altra questione». Leggieri evidenzia che “il modello Bollate” non dipende solo dalla direzione: «Ho ereditato un sistema coraggioso e soprattutto aperto: alla società civile, al lavoro, a tutte le possibilità di reinserimento e di accompagnamento delle persone detenute verso una vita diversa». Giulini segue gli uomini anche al termine della detenzione attraverso il Presidio criminologico territoriale che definisce «un corrimano, un posto che gli dà supporto dove depressurizzare situazioni di stress e ci permette di monitorare eventuali comportamenti a rischio». Andrea ne parla durante l’assemblea finale dei sex offender e l’ipotesi di continuare il percorso fuori da Bollate lo tranquillizza: «Tra sei mesi uscirò e ho iniziato a lavorare e sono molto preoccupato per i soldi, ma mi rendo conto che da quando ho questi pensieri faccio più fatica a gestire le mie emozioni e perdo il controllo facilmente». Andrea ha imparato bene la massima dello psichiatra Jocelyn Aubut che viene consegnata a tutti i membri dell’UTI: “Il delinquente sessuale non deve mai considerarsi al riparo da una ricaduta”. L’idea di lasciare quei corridoi decorati durante le ore di arte terapia gli fa quasi paura, «ma ora so che c’è un posto dove posso chiedere aiuto». Giulini prende appunti su ogni intervento che viene fatto, ringrazia per la condivisione, incalza, redarguisce, incoraggia, stronca, lascia che quell’uomo di sessant’anni continui a piangere per il dolore che ha causato. 

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