La proprietà cinese se ne va, 55 lavoratori sono senza tutele in Umbria
di Emanuele Lombardini, Massa Martana (Perugia)
I dipendenti della Angelantoni Life Science, attiva nel settore ambientale e biomedicale, abbandonati dalla proprietà asiatica. Sono da 4 mesi niente stipendi né protezioni. «Chiediamo che ci si attivi per il subentro di un'impresa capace di riavviare la produzione»

Sospesi in un triste limbo, senza capire cosa riserverà loro il futuro. Per i 55 lavoratori della Angelantoni Life Science di Massa Martana in Umbria è stato un Natale amaro, senza stipendio da 4 mesi, né contributi, né ammortizzatori sociali. E il 2026 all’orizzonte si colora a tinte fosche. Un quadro nerissimo iniziato per questa sezione del gruppo industriale umbro - uno dei più grandi ed importanti d’Italia - nel 2021 quando ha deciso di cederne la proprietà per il 70 percento alla Antolin Life Science, società cinese nell’ambito di una più ampia strategia di riorganizzazione del Gruppo, finalizzata a focalizzarsi sul core business delle camere per test ambientali.
La proprietà cinese, però si è ben presto disimpegnata, escludendo al contempo il gruppo umbro anche da ogni attività gestionale e decisionale, sottraendosi progressivamente anche al confronto con sindacati ed istituzioni, al punto solo grazie all’azione dei dipendenti di Als si è potuta aprire la liquidazione giudiziale, per cui la disponibilità dell’azienda è stata sottratta alla proprietà cinese. Ma il Tribunale di Spoleto, che ha in mano la vicenda, ha deciso di non provare a gestire l’azienda in continuità, sospendendo i dipendenti. Il risultato è che adesso i lavoratori non percepiscono nemmeno la disoccupazione: «Sono stati privati di tutti i diritti - sottolinea la Fiom Cgil perugina che cura la vertenza- e registriamo anche un clima di disimpegno che rende ancora più complicato trovare soluzione».
Circa una decina di lavoratori erano stati richiamati al lavoro dal socio di minoranza con un contratto sino a fine anno: questi avranno una proroga di tre mesi; altri 15 sono in cassa integrazione a zero ore pur avendo dato la disponibilità a lavorare, ma la sensazione è quella di una navigazione a vista fra le nebbie: «Chiediamo che ci si attivi per il subentro di un’impresa capace di riavviare la produzione, in particolare che il socio di minoranza, l’Angelantoni Industrie, compia un atto di responsabilità verso chi per anni ha lavorato anche alle sue dipendenze e a cui era stato detto che l’acquisizione del 70% da parte di una società cinese sarebbe stata una opportunità di crescita. Invece oramai troppo spesso siamo a vedere le nostre aziende vendute a soggetti finanziari che non hanno nessun orizzonte se non la prospettiva di un veloce guadagno per chi la vende».
Lo sciopero dello scorso giugno non ha sortito effetto, se non quello di una nota della Angelantoni nella quale viene scaricata l’intera responsabilità sul gruppo cinese: «Da quando siamo stati esclusi da ogni attività - si legge - il presidente del gruppo Gianluigi Angelantoni è stato costretto prima a rimettere le deleghe operative e infine a rassegnare le dimissioni dalla carica di consigliere in Als, in seguito al costante dissenso con le scelte della governance cinese e all’assenza di flussi informativi sull’andamento aziendale. Siamo rammaricati per l’evolversi di una vicenda che danneggia non solo economicamente, ma anche a livello reputazionale il nome Angelantoni, costruito in oltre 90 anni di attività all’insegna dell’innovazione, della serietà e del radicamento territoriale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA






