Transizione, ritardare costa
mercoledì 12 luglio 2023

A che punto è la transizione ecologica e come rispondere ad alcune domande e scetticismi ricorrenti?
Una delle prime si potrebbe riassumere in “E allora la Cina e l’India?” Insomma a che vale sforzarsi se gli altri non si muovono?
Gli altri in realtà si stanno muovendo praticamente tutti. Otto piccoli Paesi (tra cui Panama, Suriname e Buthan) sono già ad emissioni zero, per sei Paesi (Svezia, Regno Unito, Francia, Ungheria, Nuova Zelanda, Danimarca) l’obiettivo è legge, 144 Paesi hanno stabilito la scadenza entro il quale diventarlo, tra i quali Cina e India (ne sono rimasti fuori pochi e non rappresentativi).

Il grosso del dibattito tra le forze politiche in Italia è sull’accelerare o rallentare la transizione, pensando che un’accelerazione abbia costi socialmente elevati. Il dilemma è mal posto perché esistono molte scelte di politica economica che accelererebbero la transizione riducendone di gran lunga i costi sociali con effetti positivi per i cittadini. Facciamo alcuni esempi. Nei condomini comunità energetiche che si stanno diffondendo nel Paese gli inquilini riducono da subito il costo della bolletta. Il governo Macron ha reso obbligatori in Francia i pannelli solari sui parcheggi con più di 80 posti (che significa anche ombra per le vetture parcheggiate d’estate). Il governo calcola che da questa sola misura potrebbe arrivare l’8% del totale del fabbisogno di energia del Paese, che in alternativa potrebbe arrivare da nuove centrali nucleari. La differenza è che per costruire centrali nucleari a fissione ci vogliono decenni mentre i pannelli si montano in qualche giorno. Quest’esempio mette in evidenza la differenza sostanziale tra il puntare su una tecnologia matura e a basso costo e cercare di risolvere il problema guardando a tecnologie che non hanno risolto ancora molti problemi come la cattura di carbonio o il miraggio della fusione nucleare. La ricerca è sempre benvenuta e tutti speriamo che arrivi l’uovo di Colombo di una tecnologia che catturi la CO2 direttamente in atmosfera, ma non possiamo certo risolvere un problema urgente oggi aspettando Godot.

Guardando all’Italia, abbiamo tutto quello che ci serve per risolvere il problema. Il buffet delle tecnologie è apparecchiato con ogni ben di Dio (eolico offshore, agrivoltaico, accumuli) e la creatività imprenditoriale nel Paese non manca. Non c’è bisogno di progetti pubblici perché in Italia ci sono già un milione e mezzo di piccolissimi, piccoli e grandi produttori di energia, centinaia di progetti su comunità energetiche e grandi impianti che in totale fanno almeno quattro volte la potenza installata di cui abbiamo bisogno per raggiungere l’obiettivo intermedio del 2030 (riduzione del 55% delle emissioni). Il tappo che impedisce a queste energie di dispiegarsi pienamente è la lentezza delle autorizzazioni e i ritardi della burocrazia (un anno e due mesi di ritardo per completare i decreti attuativi sulle comunità energetiche chieste a gran voce durante le Settimane Sociali di Taranto che bloccano 2,2 miliardi di fondi del Pnrr per i piccoli comuni). Visti i ritardi appare ozioso il dibattito se sia o meno possibile un futuro con 100% di energia da rinnovabili. Siamo ancora a una quota del 19% per i consumi lordi di energia e al 36% per quelli di energia elettrica che il nuovo Pniec propone di portare la 65%. Il Portogallo che è davanti a noi si è dato l’obiettivo dell’85%.

Quello che manca dovrà arrivare da tecnologie degli accumuli o in alternativa nucleare o centrali di gas residue.
Il bagno di sangue non verrebbe dunque dal fare la transizione ecologica, ma dal ritardarla. Se famiglie e imprese fossero passate alle rinnovabili prima dell’esplosione dei prezzi del gas non avremmo avuto l’inflazione così alta (quella francese è molto più bassa perché minore è la dipendenza del paese dalle fonti fossili).
Nell’inflazione, come riconosciuto anche dalla Bce, c’è una nuova componente causata dagli eventi climatici estremi e dal loro effetto sulla scarsità di materie prime agricole.

Siamo in ritardo nella diffusione delle pompe di calore come mezzo di riscaldamento per le abitazioni che consentirebbe di abbattere metà delle polveri sottili che causano in Italia ogni giorno quasi 260 morti secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Abbiamo soluzioni per rimuovere gradualmente i sussidi ambientalmente dannosi senza costi per le tasche di chi ne beneficiava. La Confederazione Nazionale Artigianato chiede da un anno un credito d’imposta al 50% per l’installazione di pannelli sui tetti delle microimprese con una soglia massima di spesa di 1,5 miliardi per lo Stato che avrebbe un impatto impressionante in termini di riduzione delle emissioni, facendo calare al contempo i costi di produzione e rendendo più competitive le imprese. I compiti delle istituzioni sono dunque essenzialmente due. Snellire le procedure sulle autorizzazioni e investire nel potenziamento delle reti e delle infrastrutture (smart grid, colonnine, accumuli di grande scala). Le tecnologie, i progetti e l’urgenza d’intervenire per una rapida crescita delle fonti rinnovabili fondamentale per la decarbonizzazione ci sono. I costi sociali dei ritardi saranno sempre più visibili. La classe politica deve sapere che in questo momento si sta assumendo responsabilità importanti nei confronti di tutti noi, dei giovani e delle generazioni future.

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