Ancora su decrescita e sviluppo: numeri e beni da considerare
giovedì 6 agosto 2020

Caro direttore,
la lettera della professoressa Bertoli su “Avvenire” del 31 luglio 2020 mi spinge a parlare ancora di decrescita: la prima e unica volta che l’ho fatto sono stato velatamente accusato (non da lei, direttore) di oscurantismo... Per cui da allora l’ho eliminata dal vocabolario. Eppure non è questione di parole. La mia formazione (ingegneristica) mi porta a ragionare di numeri e non di opinioni. Risolta la paura della esplosione demografica (caso mai il contrario), il pianeta non è comunque in grado di garantire a tutti suoi (attuali) abitanti umani il tenore di vita medio italiano. Per cui o continuiamo con la regola del mezzo pollo di Trilussa (che già vale in ambito nazionale) e ci teniamo anche la metà che spetta a un paio di africani (di quelli poveri), oppure ci rassegniamo a vivere con meno risorse. E i tecnofili che predicano che l’efficienza crescerà più dei consumi permettendo così di risparmiare risorse dovrebbero aprire gli occhi alla storia recente; è un falso: l’economia come la gestiamo non può vivere senza crescere. Per questo possiamo anche chiamarlo “altro sviluppo”, ma è nascondersi dietro il dito: decrescita sarà, intesa come riduzione delle risorse consumate. Per scelta o per necessità. Chiamarla contrazione o contenimento non cambia la sostanza. Preferirei fosse per scelta... Aggiungo, se mi concede spazio, che lo stesso vale per il lavoro, che è dignità dell’uomo. L’efficienza del sistema economico cresce e se non crescono i consumi (o lo spreco) non serviranno più 8 ore degli abitanti della terra per produrre cibo, servizi e beni materiali necessari. Già oggi lavora una percentuale relativamente bassa di persone nei Paesi opulenti. Quindi meno ore o meno lavoratori: questa è la tragedia di un mondo pieno di working poor, che lavorano ben più di 8 ore per sopravvivere e rendere ricchi i pochi che lo sono (italiani in media compresi)
Pietro G. Molina, Vigevano (Pv)

Sono d’accordo con lei su molti punti, caro ingegner Molina, ma insisto: un altro sviluppo è possibile. E la ricchezza non è data solo dalla produzione di beni che “consumano risorse” al ritmo e con le disuguaglianze attuali, ma anche da beni (comuni e relazionali, ad esempio) che aggiungono valore alla vita personale e comunitaria senza consumare risorse. Ne scriviamo da anni, per accompagnare il lavoro di tanti. Non siamo ancora abbastanza, ma in ogni parte del mondo siamo sempre di più. Sono all’opera, in modo convergente, intelligenze e competenze maturate in culture diverse. E il magistero dei Papi – che oggi continua in quello nitido e mobilitante di papa Francesco – ci incoraggia e ci dà orizzonte.

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