La «mossa» di Renzi lo porta nel cantiere della «quarta gamba»
sabato 21 settembre 2019

Caro direttore,
tra poco vedremo se la “cosa” di Matteo Renzi avrà il consenso da lui sperato e se servirà a qualcosa (il direttore del “Foglio” sostiene di sì). A me pare che sia una proposta divisiva, non solo perché è una scissione, ma proprio per natura. Mi spiego meglio. Mi sembra che la proposta di Renzi non si sostanzi in qualcosa di innovativo, in una proposta politica nuova con cui essere o non essere d’accordo. Io credo che potremmo dirci in molti, moltissimi, d’accordo con l’alta proposta “di metodo” di Italia Viva: occupare «lo spazio del futuro», smetterla di guardarsi l’ombelico, avere un orizzonte temporale più lungo e focalizzare l’azione su crescita economica, educazione, ricerca. Ma perché farlo fuori dal partito di centrosinistra deputato a rappresentare queste istanze? Domanda retorica a cui non si può dare risposta. Ecco perché, a mio avviso, la proposta di Renzi è divisiva e sterile; fondamentalmente perché è priva di contenuto. E quando Renzi e i suoi si sperticano a dire che resteranno amici dei tanti colleghi del Pd con cui hanno condiviso battaglie, ecco: è proprio allora che non li credo. Se c’è uno che non dovrebbe più dire che non cova rancori, questo è Matteo Renzi. Spero, di cuore, di sbagliarmi.
Lucia Toniolo

Caro direttore,
la logica di Matteo Renzi è la seguente: «Meglio essere capo di sarda che coda di balena». Matteo Renzi si è reso conto che i maggiorenti del Pd erano tutti contro di lui e che alla fine avrebbero cancellato le leggi da lui volute quando è stato primo ministro, come per esempio il Jobs Act. Perciò ha deciso di creare un nuovo partito che guardi all’elettorato di centro e anche di centrodestra e nel contempo condizioni questo governo con il suo diritto di veto, giacché è diventato l’ago della bilancia. Non ha nessuna importanza se è a capo di una piccola pattuglia di deputati e senatori, tanto può far cadere il governo quando vuole. Non mi meraviglierei se un domani lo stesso Renzi facesse nascere un altro Governo, magari con Matteo Salvini, considerato che a mio giudizio guardano ambedue allo stesso elettorato di centrodestra. In politica non bisogna mai dire mai...
Pietro Calcagnile

Gentile direttore,
in Matteo Renzi avevano riposto fiducia anche molti cattolici tanto che, negli anni passati, in qualche parrocchia si cercavano voti per la sua elezione. Ma la delusione è stata altrettanto grande. Si ha l’impressione che Renzi sia più interessato alla sua persona che al bene del Paese. A lui piace essere sempre al centro dell’attenzione, al comando, e appare sempre animato da spirito di rivalsa. Insomma, il suo modo di porsi suscita antipatia e peggio. Come cattolico non apprezzo il suo concetto di “laicità” finalizzato ad accattivarsi le simpatie (con scarso successo però) non dei veri laici, ma dei laicisti. Renzi cita spesso Giorgio La Pira, ma dimentica che il “sindaco santo” considerava i valori cristiani come valori umani fondamentali da difendere sempre e comunque. Questo è ciò che penso di Renzi e credo di essere in vasta compagnia.
Alfio Bettin

Caro direttore,
la “scissione Renzi” dal Pd, che sta dando tanto disturbo a tanti, mi fa sperare di avere un partito dove valori come la vita, la famiglia ecc. trovino casa, pur convivendo, con civiltà e rispetto, in un Parlamento in cui l’ala destra l’abbiamo conosciuta, ahimè, nell’ultimo anno, e l’ala sinistra sembra davvero volersi rimettere a cantare “Bandiera rossa”, ma soprattutto dimostra di non essere in grado di frenare e gestire le spinte verso “derive etiche”... Pur vedendo i difetti di Renzi, ho fiducia nel suo talento, nella sua maturazione e nella sua, mai rinnegata, formazione cattolica... possa questa Italia Viva restare con intelligenza ago della bilancia!
Adele Pallavicino Croce

Caro direttore,
in questa mini-Brexit all’italiana voluta da Matteo Renzi, il “Renxit” appunto, mi ha colpito innanzitutto l’intitolazione del nuovo partito: Italia Viva. Da chi e come è stato ispirato Renzi? A parte la similitudine con lo slogan “L’Italia viva” (campagna elettorale del 2008 di Walter Veltroni) ritengo che sia stato consigliato da un ingegnere o da un architetto. Chiedete infatti a un tecnico, dal più grande come Renzo Piano all’ultimo dei geometri: vi confermerà che l’appunto “Vive”, riportato a biro o matita su un elaborato progettuale, sta a indicare che la correzione precedente è annullata, viva per l’appunto. Come a dire che il Pd è smontato. Vedremo. Un’ultima considerazione. Colpisce, e in certo senso lascia esterrefatti, la tempistica di questi atti politici, definiamoli così, dei “due Mattei”. Il primo, Salvini, fece cadere il governo gialloverde o Conte I in agosto, nonostante l’approvazione del decreto sicurezza bis, strappando a destra... Il secondo, Renzi, stacca una costola dal Partito democratico dopo aver caldeggiato la nascita del governo giallo-rosso o Conte II, da taluni ritenuto il più a sinistra della storia repubblicana, strappando al centro...
Stefano Masino

Caro direttore,
a me è sembrata alquanto inopportuna, e anche un poco stravagante, l’uscita di Matteo Renzi dal Pd. Poi, ho ripensato al “patto del Nazareno”, a quella prima cena ufficiale ad Arcore con Silvio Berlusconi... Ho ricordato le mormorazioni su Matteo (quello di Firenze, appunto) “figlio politico” atteso e da sempre sognato dal leader di Forza Italia, e poi la sintonia dei due sulle riforme della Costituzione, bipolarismo per favorire la governabilità, abolizione del Senato ecc. E ho pensato: vuoi vedere che il vero “babbo” di Italia Viva è proprio Berlusconi? Che grande colpo per il Cavaliere! Con i suoi soldi (scusate volevo dire i suoi consigli!) e con la sua abilità (indiscutibile!) di imprenditore che dal “nulla” ha costruito un impero, sa come destreggiarsi per ottenere i risultati sperati... Se a questo si sommassero la scaltrezza e l’ambizione di Renzi, si potrebbero realizzare due sogni: quello di Berlusconi diventato “babbo” del sempre desiderato “figlio politico” e quello di Matteo Renzi che con (Forza) Italia Viva riconquista il potere! Grazie alla “memoria corta” degli italiani chissà che addirittura non si realizzi anche il primo dei sogni – in assoluto – di Berlusconi: la poltrona del Quirinale!
Raffaele Pisani

Caro direttore,
il primo “vagito” renziano in questa legislatura e in questo tempo politico era stato un “no” al probabile accordo di governo M5s-Pd nella primavera del 2018. La seconda “uscita” è stato un “sì” all’attuale governo M5s-Pd. E siccome, come si usa dire “non c’è due senza tre” rimaniamo in attesa del Renzi III, il cosiddetto numero perfetto. Nel frattempo... finché c’è inquietudine stiamo tranquilli.
Elvio Beraldin

Non si può proprio dire che Matteo Renzi lasci indifferenti, che le sue scelte non facciano rumore, che le sue mosse non interroghino. Anch’io, care amiche e cari amici, non ho certezze assolute sui motivi ispiratori della sua decisione di uscire dal partito di cui è stato leader e di fondare Italia Viva. Vedo motivi tattici: pesare qui e adesso, per condizionare il governo e limitare il potere dei principali azionisti della maggioranza giallo-rossa, gli attuali capi di M5s e Pd nonché Giuseppe Conte, premier in continua crescita di ruolo. E intuisco un’idea strategica: interpretare un’area in cerca di consistenza propria: quella «quarta gamba» che – l’ho scritto e detto più volte – potrebbe e dovrebbe completare lo strano tripolarismo italiano. Che oggi è basato su un movimento sinistra-destra e ambientalista, i 5stelle, una destra (dominata dalla Lega, attualmente salviniana) che si ritrova radicale come non mai nell’era repubblicana, una sinistra alla ricerca di se stessa e del popolo perduto. Una specie di tavolino a tre gambe da seduta spiritica, e dunque da ingannevoli balletti, più che uno stabile tavolo da lavoro...

Vedremo come le tattiche renziane serviranno l’obiettivo strategico. E vedremo se il consenso verrà. Se verrà sarà per condizioni di quadro e per almeno due motivi: lo “stile” della nuova formazione e la sua concreta proposta politica. Quella proposta che – come sottolinea Lucia Toniolo – allo stato delle cose non si vede, mentre si vedono molto bene (anche dalle lettere che precedono queste righe) le attese, le apprensioni e le reazioni che l’iniziativa sta generando. Non per ultime, tra le reazioni, le un po’ affannose prove di “intesa civica” tra M5s e Pd nelle elezioni regionali umbre. Forse un’interpretazione evolutiva dell’attuale tripolarismo in un tempo politico ambiguo: neoproporzionale a livello di Stato centrale e ancora e sempre maggioritario nelle amministrazioni locali. O forse il preludio al tentativo di dar vita a un nuovo bipolarismo, che lasci solo uno spazio residuale a nuove forze comunque ispirate. Vedremo anche questo. In politica – come annota il lettore Calcagnile, e come dimostrano i casi italiani e quelli di mezzo mondo – “non bisogna mai dire mai”, a maggior ragione in una fase di transizione come questa che stiamo attraversando.
Ecco alcuni dei motivi per cui non ho certezze sulla direzione che assumerà il movimento impresso dall’ex premier al quadro politico, sui suoi esiti, sulla capacità di presa elettorale. In questi anni, del resto, ho potuto verificare che Renzi in genere fa quello che ritiene giusto anche quando questo scuote e divide e non fa necessariamente quello che ci si attenderebbe da lui. Tranne che “rottamare” ciò (e chi) ritiene superato e tranne che restare fedele ad amicizie e inimicizie. Attitudini che lo hanno portato rapidamente in alto, ma non hanno garantito a lui la fedeltà dei tanti elettori che aveva conquistato nei primi mesi di guida di Pd e Governo. Non pochi poi – come i lettori Pisani e, ancora, Calcagnile – ritengono che, nonostante l’alleanza esplicita di Italia Viva con il Psi di Riccardo Nencini, l’obiettivo renziano sia quello di occupare tutto lo spazio disponibile nell’area che un tempo si definiva “moderata” e concludono che, vista l’egemonia elettorale esercitata per lunghi anni da Silvio Berlusconi su questo decisivo settore di voto e di opinione, ciò significhi la continuazione del berlusconismo con altri mezzi. Non sono di questo parere, per quel che vale. Berlusconi – che, come si sa, si pensa eterno – in politica non ha eredi, e non ne vuole. Ed è bene così. Per di più – e anche se dovessi sbagliarmi, mi tengo caro il mio torto – resto convinto che le novità davvero importanti possono nascere ormai solo “dal basso” e che tutto il resto, a torto o ragione, finisce per essere sterilmente consegnato a quello che proprio Berlusconi chiamava il “teatrino della politica”, che non è la Politica.
Credo, perciò, che la sfida vera e difficile non sia quella di ereditare una qualche “terra”, ma di dare corpo e unità alle tante iniziative che si propongono o si accennano su diversi versanti e pendii di quel “centro” che, a tutt’oggi, resta nient’altro che una “espressione geografica” nel panorama politico italiano e che in passato è stato, invece, prima ancora che un partito, il luogo e il motore della ricostruzione materiale del Paese e della costruzione del sentimento democratico di italiani formatisi negli anni del totalitarismo fascista e la condizione stessa dello sviluppo (anche contraddittorio, ma sodo e spettacolare) della nostra complessa società e della nostra economia. In questo momento storico c’è da affrontare un doppio e grandioso lavoro di costruzione di una nuova fiducia civile e di un nuovo e sostenibile progetto di economia dal volto umano e di ricostruzione di una purtroppo incrinata passione democratica. Servono idee e generosità grandi e limpide, servono valori forti e coinvolgenti, non piccole iniziative e astute manovre (non sto classificando a priori quella di Renzi, sia chiaro: il giudizio, come sempre e per tutti, è possibile solo sui fatti). Penso, insomma, che sarà “centro” – e non solo al centro delle cronache – chi saprà interpretare il compito a cui ho accennato, e guidare il processo. Renzi si candida a farlo e non è il solo. Ma non è affatto detto che questa indispensabile ambizione non possa riguardare una o più delle forze già in campo, se ci sarà al loro interno e soprattutto al loro vertice chi saprà ascoltare e dare risposta alle voci “dal basso”. Che in misura notevole, tra delusione e speranza, si alzano dalle tante fattive e tenaci realtà d’impegno delle comunità cristiane di questo nostro Paese.

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