martedì 17 settembre 2019
Telefonata al premier Conte, garantito "pieno sostegno" al governo. A vuoto gli ultimi appelli, si limano le liste di chi lo seguirà. Crescono le adesione al Senato. Zingaretti: un errore
Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

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Non è più tempo di voci e mormorii, il dado è tratto. Matteo Renzi sembra aver deciso: martedì, dapprima con un’intervista al giornale la Repubblica e poi nel salotto tv di "Porta a Porta", annuncerà le ragioni che lo spingono a lasciare il Pd e a mollare gli ormeggi, dopo quasi tre anni di illazioni, per il suo nuovo movimento (da fondare forse entro dicembre, si dice). Un progetto che, affiancando i già attivi comitati civici di "Ritorno al futuro", per ora nascerà in Parlamento, con un gruppo autonomo alla Camera e solo una componente nel gruppo misto al Senato (dove il regolamento è diverso).

Nel giro di nemmeno un mese, dopo aver dato una spinta decisiva nel mettere fuori gioco Salvini favorendo la nascita del nuovo governo fra Pd e M5s, Renzi torna a essere protagonista. A nulla sono valsi gli ultimi appelli, anche di parte renziana, come quello del sindaco di Firenze, Dario Nardella, fedelissimo della prima ora dell’ex premier ed ex segretario che però ha detto che resterà nei dem. Sono ore frenetiche, sul tavolo di Renzi ci sono i nomi dei parlamentari che sono pronti a seguirlo. I deputati sicuri al 100% di lasciare i dem sono 16: ci sono i "renziani doc" Ettore Rosato, "regista" dell’intera operazione, Ivan Scalfarotto, Gennaro Migliore, Lucia Annibali e Mauro Del Barba; e c’è la corrente guidata da Roberto Giachetti (che oggi ha dato un "assaggio" annunciando le dimissioni dalla direzione Pd «per coerenza, essendo stato il front-man della campagna che negava accordi con M5s»), con Luciano Nobili, Anna Ascani, Michele Anzaldi, Nicola Carè, oltre a Gianfranco Librandi. Con loro anche tutti quelli vicini a Maria Elena Boschi, come Marco Di Maio e Mattia Mor, e pure i due capigruppo delle commissioni Bilancio e Finanze, Luigi Marattin (destinato a diventare il presidente del nuovo gruppo) e Silvia Fregolent. Ma la possibilità ci sarebbe per altri 9-10 deputati circa. Discorso diverso al Senato: qui, oltre a Renzi stesso, della partita sono anche Francesco Bonifazi, Davide Faraone, il ministro Teresa Bellanova e Nadia Ginetti. Ma voci insistenti esistono su altri 5 (Cerno, Comincini, Grimani, Marino e Nencini, anche se una nota del Psi rettifica e precisa che lui «è e resta socialista»).

Nessuna conseguenza sul governo, tuttavia. I renziani assicurano che il nuovo movimento, che potrebbe chiamarsi "Italia del sì", non sarà un pericolo per il "Conte-2", anzi «paradossalmente – garantisce Renzi in persona in un’intervista al Times, concessa sabato scorso – ne amplierebbe il sostegno». L’ex premier avrebbe assicurato "pieno sostegno al governo" a Conte stesso, al quale ha telefonato lunedì sera. Nessun contatto invece, spiegano al Nazareno, con il segretario Nicola Zingaretti. Ma per chi lo seguirà sono divenute molte le ragioni per separare le strade dal Pd: «C’è uno spazio politico enorme – spiega all’agenzia Ansa uno dei dirigenti impegnati nell’operazione – sia nell’elettorato moderato, visto l’appannamento di Berlusconi e la centralità di Salvini, sia in quello di centrosinistra perché sentir cantare "Bandiera rossa" alle feste del Pd per molti non è folklore e mette a disagio». Nessun timore nemmeno per la concorrenza al centro di un’eventuale soggetto creato da Carlo Calenda insieme a Matteo Richetti, liquidato come «un tema valido solo per il ceto politico, non tra la gente». Nel Pd, in ogni caso, si continua a negare che si tratti di una «separazione consensuale», mentre Enrico Letta continua a non crederci: «È una cosa non credibile, non c’è alcuno spazio per una scissione a freddo». A confermare il "movimento" nell’area renziana c’è infine un altro fattore: a partire dal 20 agosto (giorno della crisi del primo governo Conte), nel giro di due settimane dalle sole donazioni di parlamentari Pd sono arrivati ben 36mila euro (spicca Boschi che ha versato 1.500 euro in 2 quote) sul conto corrente dei comitati di Renzi, che prima di allora aveva raccolto molto poco.

I commenti
Matteo Renzi lascia il Pd, e sarà un bene per tutti, anche per Conte. Il partito è diventato un insieme di correnti, manca una visione sul futuro. A Repubblica l'ex premier spiega la decisione: saranno con lui una trentina di parlamentari, i gruppi autonomi nasceranno questa settimana. E dice di voler passare i prossimi mesi a combattere Salvini non a difendersi dal fuoco amico. Alla Leopolda il simbolo. Numerose le reazioni alla fuoriscita dell'ex premier ed ex segretario del Pd. Amaro il commento del segretario dem Nicola Zingaretti: «Ci dispiace, è un errore. Ci dispiace. Un errore dividere il Pd, specie in un momento in cui la sua forza è indispensabile per la qualità della nostra democrazia. Ora pensiamo al futuro degli italiani, lavoro, ambiente, imprese, scuola, investimenti. Una nuova agenda e il bisogno di ricostruire una speranza con il buon governo e un nuovo Pd».

«Per me il #Pd non è un episodio. È il progetto di una vita. Ci ho lavorato con #Veltroni e #Renzi, sono
stato in minoranza con #Bersani. Oggi è uno dei partiti progressisti europei più forti e aperti al futuro. In tempi così difficili, teniamocelo stretto. E guardiamo avanti». Così su Twitter il commento di Paolo Gentiloni (Pd) commissario europeo all'Economia.

«Renzi? Oggi è un grosso problema», così Dario Franceschini ha risposto alla sua omologa tedesca Michelle Müntefering, durante un breve scambio di battute in inglese intercettato dai giornalisti e dalla telecamere alla Triennale di Milano, dove i due hanno questa mattina un bilaterale. "What's Renzi doing now?" ha chiesto la ministra tedesca a Franceschini, il quale ha risposto: "Today it's a big problem".

Trapelano sconcerto e dispiacere, confusione ma anche stupore per la tempistica dello strappo di Matteo Renzi, nella delegazione del Pd al Parlamento europeo, dove ora si apre "una riflessione". «Per me è una sofferenza, anche personale, ma per ora non voglio dire di più», taglia corto Bonafè, considerata storicamente una delle più vicine all'ex premier nella pattuglia dem, insieme a Pina Picierno, Alessandra Moretti e soprattutto Nicola Danti, ripescato quest'ultimo al Pe dopo la nomina di Roberto Gualtieri a ministro dell'Economia. «Oggi ci siamo confrontate con Bonafè e Picierno - afferma invece Moretti, intercettata nei corridoi di Strasburgo dove è in corso la plenaria - ci sarà una riflessione ma in questo momento prevale il dispiacere».

«#iostonelPD un errore enorme la scissione di Renzi. Non credo nei partiti personali e le divisioni portano sempre male. I sindaci popolari aggregano, non dividono. Per questo credo rimarremo tutti nel Pd che, a maggior ragione, vogliamo riformista e maggioritario (non il Pds)", scrive su Twitter Matteo Ricci, sindaco di Pesaro.

«Prima incassa posti e ministeri, poi fonda un "nuovo" partito per combattere Salvini - scrive su twitter il leader della Lega Matteo Salvini -. Che pena, cosa non si fa per salvare la poltrona... Il tempo è galantuomo, gli Italiani puniranno questi venduti».


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