«Ma cosa offre la Chiesa a mio figlio gay?» La via stretta e un nuovo abbraccio largo
sabato 15 ottobre 2022

La lettera dolente e accorata di una mamma cresciuta alla scuola di don Giussani e don Carròn e quella, pacata, severa e allarmata di un altro lettore aiutano anche me a riflettere di nuovo su un tema emerso spesso nel dialogo coi lettori di questi anni e nel nostro lavoro di cronaca e approfondimento

Caro direttore, mio figlio 3 anni fa ha fatto coming out, si è rivelato per quello che è, la sua vera natura: omosessuale. “Da quando lo sai?”. “Da sempre”. Non una scelta, non una moda, ma una constatazione. Perché, cosa avevamo sbagliato? Ho conosciuto altri genitori e altri ragazzi nella nostra stessa situazione, confronti, domande, incontri di auto mutuo aiuto. Ho incontrato persone splendide e mai nessuno mi ha fatto sorgere il dubbio che quell’omosessualità fosse una “scelta”, ma una cosa che si son trovati addosso. Non è “contronatura”, anche se così ho detto in un primo momento a mio figlio e non vorrei mai averlo fatto. Non è contronatura l’omosessualità perché in natura c’è e c’è sempre stata e non è neppure una malattia come da tempo ha decretato l’Oms. Dal giorno in cui mio figlio si è rivelato, il nostro rapporto è cresciuto, più chiaro, più adulto. Desidero custodire questo figlio così come mi è stato dato, con tutto l’amore di cui sono capace. Sono cresciuta con gli insegnamenti di don Giussani e di don Carrón, ho imparato a guardare la circostanza, la realtà, la vita così come si presenta... Nelle comunità cattoliche questo argomento è quasi improponibile: quel che dice la Chiesa non può essere messo in discussione. Che cosa ha in serbo, allora, la Chiesa per mio figlio e per tutti quelli come lui? Accoglienza. Ma che cosa se ne fa una persona se non può innamorarsi e non può cercare la felicità secondo la sua natura? Perché di questo si tratta. Felicità e dignità. Penso, alla luce della mia esperienza che la Chiesa debba imparare ad ascoltare i suoi figli, non deve rinunciare alla sua sostanza anzi dovrebbe arricchirsi chinando come madre l’ orecchio in ascolto dei suoi figli così unici e così diversi tra loro. Grazie
Giuliana

Caro direttore, prima di ogni altra cosa desidero ringraziare lei e i suoi collaboratori per la ricchezza, e la precisione delle notizie che, soprattutto in questi duri mesi, ci state fornendo su tutto ciò che di importante accade in Italia, in Europa, nel resto del mondo e nella Chiesa. Devo, però, confessarle che mi ha lasciato perplesso sia il contenuto, sia il tono con cui il 22 settembre scorso, a pag. 17, “Avvenire” ha dato notizia del fatto che un «gruppo di cristiani Lgbt aderenti all’associazione “La tenda di Gionata”, al temine dell’udienza del giorno precedente, è stato ammesso a salutare il Papa». Sin qui, tutto bene: papa Francesco, avvicina tutti, parla con tutti e, come faceva Gesù, privilegia i più poveri, i più deboli, coloro che più di altri hanno bisogno di convertirsi. Inoltre, al n. 250 dell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia, ha ribadito che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto». Ma il modo in cui vengono accolti gli omossessuali dall’associazione che opera a Torino e il modo in cui agiscono le due lesbiche «impegnate in una parrocchia dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola» non mi pare che segua la linea tracciata nel documento citato per l’accoglienza di tutti coloro che si trovano a vivere da “irregolari”, ai margini della Chiesa, di cui si occupa il n. 297. Qui, giustamente, il Papa afferma che «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo»; e precisa che «se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano... ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione». Al n. 300, poi, l’Amoris laetitia indica ai Pastori la via da seguire per accogliere tutti gli “irregolari”: è una via strettamente individuale, personale, che accompagna queste persone «sulla via del discernimento», attraverso «un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento». A Torino e a Modena non mi pare che siamo su questa linea: si dà alla potente, ricca, spregiudicata lobby Lgbt la possibilità di arrivare anche da noi a ottenere ciò che ha ottenuto in Belgio e che viene evidenziato nella stessa pagina di “Avvenire”: lì i vescovi e il cardinale Jozef De Kessel «hanno pubblicato un documento che (...) autorizza la benedizione delle coppie dello stesso sesso». Evidentemente, non hanno letto la ferma condanna di ogni tentativo di «assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omossessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» contenuta nel n. 251 di tale documento. E non hanno tenuto in alcuna considerazione il successivo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui si vietava espressamente ai presbiteri di benedire le coppie omossessuali. Mi auguro che il Vaticano faccia presto sentire, di nuovo la sua voce e che si sani la frattura che si è verificata con parte dei vescovi del Belgio. Pregherò molto, con questa intenzione.
Alberto

Firmo entrambe le lettere che precedono queste mie riflessioni soltanto col nome dell’amica lettrice e dell’amico lettore che me le hanno scritte. Alla signora Giuliana dico grazie per la confidenza aperta, schietta e comprensibilmente dolente. E rispondo alla domanda che mi pone con realismo: la Chiesa a suo figlio gay offre un abbraccio largo e la via stretta. Come a tutti, eppure – è vero – di più. Con le persone omosessuali è così. Ed è la Chiesa che amiamo e di cui ci fidiamo che lo fa, quella mandata nel mondo dal suo Signore per condividere la Parola che dà senso a tutto, per nutrire la comunione e per “chinarsi” in ascolto e in prossimità lungo la via che «scende da Gerusalemme a Gerico» (cfr. Lc 10, 30) e che attraversa la storia e le vite degli uomini e delle donne in carne, ossa e sentimenti. Perché questa è la “natura” degli uomini e delle donne. Di tutti, nessuno escluso, quale che sia la loro condizione e inclinazione anche sessuale. Perverse, mi è stato insegnato nella Chiesa e dalla vita, sono solo la violenza, la sopraffazione e l’umiliazione. Per questo da due millenni, la Chiesa si china e si rialza, rialzando. E quando non lo ha fatto, quando non si è chinata in annuncio limpido ma anche in ascolto della vita reale, ha deluso e persino tradito e, infine, pensiamo solo a san Giovanni Paolo II nel grande Giubileo del Duemila e a Benedetto XVI e Francesco negli ultimi vent’anni, ha saputo chiedere perdono per aver sbagliato o tardato a capire e ad ascoltare.
Da diversi anni, anche se non ovunque nello stesso momento e nella stessa maniera, la Chiesa ha imparato a prestare ascolto anche alle persone omosessuali. In particolare, alle persone omosessuali che la interpellano, perché cercano Dio e, come dice il Papa, «bussano alla porta», ma anche quelle – non poche – che nella comunità cristiana ci sono letteralmente nate dentro – battezzate, comunicate, cresimate – e non se ne sono mai allontanate, e però vivono con fatica, dolore e “incompletezza” questa appartenenza del cuore e dello spirito e la propria umana condizione che il Catechismo definisce «disordinata». Sanno, insomma, che la Chiesa chiede loro molto: una vita di relazione come quella che indica ai suoi consacrati e alle sue consacrate. Il Catechismo pone loro proprio il dilemma da lei evocato, cara amica: per essere pienamente nella Chiesa una persona omosessuale deve castamente rinunciare «a cercare la felicità secondo la propria natura», ma, al tempo stesso, nella comunità cristiana deve essere trattata con integrale rispetto. Dunque anche senza dita alzate… Non era così, e non tutti lo accettano, sia tra le persone omossessuali credenti sia tra gli altri membri della comunità. Così come non tutte le persone Lgbt rispettano la Chiesa, e a volte arrivano a dileggiare figure e simboli sacri e pretendono di affermare che questa sia libertà.
Eppure, l’Esortazione apostolica Amoris laetitia ha parole complementari e ancora più accoglienti di quelle scritte nel Catechismo già rielaborato tra il 1986 e il 1997. E si tratta di magistero formale e solenne, maturato nel cammino di un doppio sinodo della Chiesa universale, che corona e accompagna il “magistero dei gesti” di papa Francesco. L’ultimo dei quali, in quel mercoledì 21 settembre, è stato, come ricorda il signor Alberto, la partecipazione di 110 persone Lgbt che fanno parte dell’associazione “La tenda di Gionata” all’Udienza generale e, al termine di questa, l’ascolto diretto da parte del Papa di un sacerdote impegnato in quest’ambito pastorale e di una giovane donna lesbica.
La partecipazione attiva di persone Lgbt è un fatto di Chiesa, come documentiamo da tempo, non semplice né scontato che riguarda tante diocesi italiane e non soltanto Torino e Modena. A questo proposito il lettore Alberto – che dice un gran bene del nostro lavoro, e lo ringrazio molto! – ha una visione non completa di quanto sta avvenendo. Egli cita anche con precisione l’Amoris laetitia, ma appunto non completamente. L’Esortazione di papa Francesco al n. 297 dice infatti ciò che lui ricorda, affermando anche che una persona «irregolare» (non solo gay o lesbica) in contraddizione ostentata con l’insegnamento della Chiesa «non può pretendere di fare catechesi o predicare», e tuttavia, aggiunge, pure per lui o per lei «può esserci qualche maniera di partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di preghiera, o secondo quello che la sua personale iniziativa, insieme al discernimento del Pastore, può suggerire». Questo è quel che sta accadendo. Un cammino, ripeto, non semplice e non scontato per chi lo vive e lo accompagna. Eviterei, perciò, di dipingere persone in cammino di fede come propaggini quasi tentacolari di una «lobby ricca e spregiudicata». Lobbisti «ricchi e spregiudicati» Lgbt esistono di certo, ma non tutte queste camarille «ricche e spregiudicate» sono Lgbt e non tutte le persone Lgbt sono «ricchi e spregiudicati» lobbisti. Bisogna evitare certi luoghi comuni che non considerano la vita concreta, le sofferenze, le gioie e le attese affettive, morali e spirituali delle persone. Vale sempre e per tutti, e certo non vale di meno quando parliamo di fratelli e sorelle di fede.
Infine, io prego perché la Chiesa sappia ascoltare, seguire e annunciare il suo Signore, e si raccolga sempre attorno al Successore di Pietro. E prego perché essa sia generoso seme di unità, di pace e di bene nella città dell’uomo e della donna. In Italia, in Belgio e ovunque.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI