Se l'accesso allo sport non è per tutti
lunedì 8 aprile 2024

Regole da rispettare e da condividere, figure autorevoli da riconoscere e a cui affidarsi, come arbitri, allenatrici e istruttori. E ancora, imparare a ragionare per obiettivi comuni e non solo individuali, unendo la propria capacità di reagire velocemente, prendere decisioni in pochi secondi alla disponibilità ad aiutarsi nella difficoltà e nella gioia. Divertimento, ma soprattutto emozioni forti da gestire, dalla frustrazione all’esaltazione fino al controllo di sé e dei propri limiti. E non ultimo, lo sviluppo di una disciplina costante, una grande forza mentale e un’approfondita conoscenza del proprio corpo, che significa prendersene cura e non solo. Tutto questo, prima ancora dell’agonismo ai massimi livelli e dell’eccellenza dei risultati, è lo sport di base: un’enorme palestra umana, di impegno e relazione. Alla quale un bambino italiano su cinque non ha diritto di partecipare, non ha la possibilità di sperimentare e sperimentarsi in quest’enorme potenziale educativo.

La pandemia sicuramente ha giocato un ruolo in questa disabitudine allo sport: i numeri dicono che tra il 2019 e il 2021 il dato che riguardava l’incidenza dei minori che non fanno sport era cresciuto dal 18,5% al 24,9% tra i 6 e i 10 anni e dal 15,7% al 21,3% tra 11 e 14 anni. Ma le conseguenze del Covid-21 non sono l’unico punto critico in un discorso più ampio su come promuovere la cultura sportiva. Chi nasce in una famiglia a rischio esclusione sociale si trova molto più spesso a dover rinunciare alle attività pomeridiane. Anche accedere allo sport è costoso. Soltanto i minori che appartengono a famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta sono un milione e trecentomila (dati Istat 2023); in altre parole, per tantissime famiglie italiane sono dei limiti economici a impedire loro di iscrivere i figli alla squadra di pallavolo o al corso di minibasket.

Nell’Osservatorio Con i bambini, realizzato con Openpolis, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, si legge che il 58,4% dei ragazzi che vivono in condizione di deprivazione sociale non possono permettersi attività di svago fuori casa a pagamento, tra cui anche lo sport.




Come fare, dunque, a rendere più equa la possibilità di fare sport? Una soluzione percorribile ci sarebbe, almeno sulla carta, e coinvolge le palestre scolastiche. Se venissero valorizzate anche per attività pomeridiane, potrebbero trasformarsi in un punto di riferimento per le famiglie del territorio, grazie alla collaborazione e al lavoro con le associazioni sportive e di quartiere, ma soprattutto agli enti locali, laddove ne autorizzino l’utilizzo gratuito. In questa maniera si offrirebbe la possibilità di fare sport a prezzi calmierati, eliminando almeno in parte gli ostacoli legati al costo nell’accesso alla pratica sportiva.

Nel nostro Paese, però, gli spazi sportivi, dalle palestre ai campi da gioco, sono una rarità, in molti casi sono edifici vecchi o non più adeguati. Ed è così anche per le palestre scolastiche, basti pensare che nel Sud Italia solo il 31,7% degli edifici scolastici ha una palestra e in generale il dato italiano arriva solo al 35,8%, con dei picchi in alcune aree del Nord. Va da sé che per promuovere una cultura sportiva, autentica e incentrata sulla socialità e gli indubbi benefici che la pratica sportiva porta con sé, rafforzando anche il corpo e lo stato di salute, bisogna iniziare a considerare lo sport come una parte importante dell’educazione dei ragazzi. Si deve partire da questo presupposto e investire risorse, magari ammodernare le palestre già esistenti e ragionare su quali nuovi impianti siano necessari come presidi educativi e sociali.

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