martedì 26 giugno 2018
Confronto a Matera su "La ricerca sanitaria tra ricerca e innovazione". Ospiti Paolo Rotelli, presidente del gruppo San Donato, e Domenico Crupi, direttore di Casa sollievo della sofferenza
Sanità, una questione di Stato
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«Restiamo il Paese più sano al mondo. Ma spendiamo poco in sanità e la domanda aumenta, così come il malcontento della gente. Come finirà? Che l’attesa per ricevere diagnosi e cure aumenterà. E che molta gente si rivolgerà al privato puro, con un conseguente aumento della spesa privata».

I dati sulla longevità in Italia lasciano pochi dubbi. E Paolo Rotelli, presidente del Gruppo ospedaliero San Donato (Gsd), ne ha ancora meno sui conti della sanità nostrana: «Spendiamo meno del 6,8% e lo Stato continuerà a disinvestire – ha detto in occasione della giornata “sanitaria” della Festa di Avvenire in corso a Matera da ieri, lunedì, e per tutta la settimana -, tanto che la soglia attuale si abbasserà ulteriormente».

Rotelli conosce le dinamiche francesi e cita la “ricetta” del dirimpettaio Emmanuel Macron: «Dopo le elezioni in Francia - ha spiegato il 28enne a capo del più grande gruppo ospedaliero italiano -, il presidente della Repubblica ha fatto il contrario del predecessore Hollande, rifinanziando il sistema sanitario nazionale, pubblico e privato insieme». Più difficile «mettere in rete medicina di base, poliambulatori e ospedali, che oggi non dialogano. Insomma, fare prevenzione». A Valencia lo hanno fatto, «privatizzando l’Ats (Azienda di tutela della salute) e offrendo una quota fissa per ogni paziente. Tutto è integrato».

In soldoni, lo Stato dice all’Ats: più sei bravo a non far ammalare il paziente più guadagni ma se lo fai ammalare per comportamenti poco virtuosi lui andrà a farsi curare altrove e tu perdi i fondi. Insomma, ha aggiunto Rotelli, il passaggio fondamentale è passare dal rendere una prestazione al rendere un risultato.

Tanti pazienti meridionali raggiungono le strutture del Gruppo San Donato (18 ospedali in Lombardia ed Emilia Romagna) ma non è ancora il momento di aprire un “San Raffaele 2” nel Mezzogiorno. O meglio, ammette Rotelli: «Se ci facessero fare un ospedale da 500 posti e ci dessero le stesse tariffe del pubblico, con un diritto di avere un’università e un finanziamento per la ricerca scientifica, io lo apro subito». Ma questo non vuol dire che le sinergie con il Sud non ci siano già: «Per esempio – ha osservato – la collaborazione con la Cooperativa sociale lucana Auxilium, che in Gsd opera da anni nella gestione degli ausiliari e del personale infermieristico, si è rivelata estremamente soddisfacente in termini di qualità ed efficienza».

Nel Sud, del resto, le eccellenze non mancano. Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia), pur non rispondendo ad alcuna logica di tipo aziendalistica, vista la sua collocazione lontana da grandi vie di comunicazione, è un caso da studiare. Perché, come riferito dal direttore generale Domenico Crupi, il nosocomio fondato da san Pio è una realtà solida tra gli istituti di ricerca scientifica internazionali. Una sorta di presidio alla “fuga” dei pazienti meridionali. «Oggi – ha dichiarato Crupi – l’ospedale assicura 63.000 ricoveri l’anno e oltre un milione di prestazioni ambulatoriali, con un tasso medio di attrazione extra regionale pari al 16%. E, nel 2016, ha raggiunto il primo posto della classifica nazionale per impact factor».L’ospedale del futuro, ha avvertito Crupi, «sarà il luogo di creazione dell’innovazione tecnologica».

Uno scenario che, a San Giovanni Rotondo, viene concretizzato già «con i robot», l’intelligenza artificiale «che replica il funzionamento del cervello umano», i Big Data.Sul tema della migrazione sanitaria è intervenuto anche il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, per il quale, nel territorio lucano, «quella passiva è in riduzione. Naturalmente stiamo intensificando accordi interregionali di confine per una virtuosa collaborazione su specifiche patologie».

L’obiettivo, ha concluso Pittella «è di mitigare la mobilità in uscita, ma anche di rafforzare il brand sanitario per le morbilità sulle quali siamo performanti. È evidente però che un cuscinetto di mobilità verso l’esterno dobbiamo provare a ritenerlo fisiologico».

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