martedì 26 aprile 2022
Esplosioni nel centro radiotelevisivo. Ieri triplo lancio di granate contro la sede dei servizi segreti: nessuno ha visto
Sale la tensione in Transnistria: un altro "strano" attentato anti-russo

Foto diffusa dai media ufficiali di Tiraspol

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Dopo le tre granate scagliate ieri contro la sede del Kgb, il servizio segreto dell'autoproclamata repubblica separatista di Transnistria, questa mattina diverse esplosioni sono state segnalate a Maiac, nel territorio della regione separatista filorussa, a pochi chilometri dal confine dal confine con l'Ucraina.

La zona è popolata in maggioranza da transnistriani di origine ucraina che nelle ultime settimane hanno espresso disapprovazione per l'invasione russa. Tuttavia a Tiraspol, la capitale della repubblica autoproclamata e non riconosciuta internazionalmente, il potere rimane saldamente in mano a emissari del Cremlino.

Le esplosioni sono avvenute a Maiac, distretto di Grigoriopol: la prima alle 6.40, la seconda alle 7.05. La polizia di Grigoriopol ha isolato il territorio del centro radiotelevisivo. Ai giornalisti internazionali non è permesso avvicinarsi e le uniche informazioni giungono dalle agenzie russe (Tass e Interfax) che rilanciano le note ufficiali di Tiraspol.

Ieri sono stati accusati alcuni ucraini di aver portato a segno l'attacco contro la sede dei servizi di sicurezza. Voci non confermate parlano di tre ucraini uccisi nei pressi di Tiraspol durante uno scontro con la polizia. Al momento non è possibile verificare in modo indipendente queste notizie.

Le torri radio abbattute a Maiac rilanciavano esclusivamente il segnale dei media statali russi sia in Transnistria che nella regione ucraina di Odessa.

Foto diffusa dai media ufficiali di Tiraspol

Lo strano attentato agli 007 che fa tremare la Moldavia

Pretesto o avvertimento. L’attacco di ieri alla sede dei servizi segreti della Transnistria, che trattandosi di una enclave separatista filorussa di forte nostalgia sovietica non potevano non chiamarsi che “Kgb”, sono un altro passo verso il baratro della guerra Ucraina. Già un paio di settimane fa avevamo osservato a Grigoriopol le truppe russe spostarsi verso Nord, in direzione del confine (non riconosciuto) con l’Ucraina.

Le tre esplosioni sono un rompicapo. Dalla Transnistria a Chisinau sono venti minuti di macchina. Abbastanza per non sentire i boati, ma troppo pochi per non avvertire ancora più forte il timore che la guerra possa arrivare fino a qui. Chi ha colpito lo ha fatto dal territorio della repubblica separatista, dove Mosca ha dispiegato una “forza di pace”, senza ferire nessuno e passando inosservato. Una anomalia in una città come Tiraspol dove i sistemi di sorveglianza sono capillari. Inoltre almeno uno dei tubi di lancio delle granate è stato lasciato in terra. Un’arma comune in Transnistria, dove la compravendita di armamenti è uno dei mille traffici illeciti solo per modo di dire, se ne possono trovare con relativa facilità.

Il governo moldavo ha reagito mostrando da subito i timori. "L'Ufficio della politica di reintegrazione (uno degli organismi deputati a riportare Tiraspol nell’alveo delle autorità di Chisinau, ndr) esprime la sua preoccupazione per l'incidente avvenuto oggi nella città di Tiraspol. Secondo le informazioni disponibili, persone non identificate hanno sparato colpi di granate contro la sede della cosiddetta struttura di sicurezza nella regione. Secondo i dati preliminari non ci sono vittime o feriti”.

Ma quale sarebbero le finalità di un’atto di quella portata? “L'obiettivo dell'incidente di oggi - spiega la nota del governo moldavo - è quello di creare pretesti per far salire la tensione nella situazione della sicurezza nella regione della Transnistria, che non è sotto il controllo delle autorità costituzionali. In questo contesto, l'Ufficio delle politiche di reintegrazione invita alla calma e, insieme alle istituzioni nazionali competenti, sta monitorando gli sviluppi del caso".

Le esplosioni sono avvenute attorno alle 17 ore locale di lunedì, all'incrocio fra le centrali via Marx e via Manoilov. Le deflagrazioni hanno danneggiato gli infissi e provocato un principio di incendio. Il ministero dell'Interno dell'autoproclamato governo della Transnistria non ha fornito spiegazioni dettagliate: "Stando alle informazioni preliminari, sono stati sparati colpi con un lanciagranate portatile anticarro. Non risultano vittime", ha dichiarato in una nota, citata da Interfax.

Ma sullo sfondo c’è una partita assai pericolosa. «Il pieno controllo dell'Ucraina meridionale darebbe accesso alla Transnistria». Pronunciate alcuni giorni fa, queste parole di Rustam Minnekayev, vice comandante della regione militare centrale della Russia, sono al tempo stesso una minaccia e una dichiarazione d’intenti.

L’’enclave russofila in Moldavia, occupata dalla Russia con oltre 1.500 uomini di una “forza di pace”, è lo spauracchio degli strateghi militari della Nato. Un’avanzata di quella portata taglierebbe l'intera linea costiera dell'Ucraina e significherebbe che le forze russe si spingerebbero centinaia di chilometri più a ovest, oltre le principali città costiere ucraine di Mykolaiv e Odessa, da cui la Transnistria dista 40 chilometri. I missili sparati ieri contro Odessa tornano ad alimentare le paure.

In Transnistria i militari russi da giorni avevano alzato il livello di allerta. Due settimane fa Avvenire aveva osservato sul campo, in particolare a Grigoriopol e sulle strade verso la capitale Tiraspol, movimenti di truppe russe dirette verso il confine non ufficiale con l’Ucraina, che si affaccia proprio sulla regione di Odessa.

In Moldavia le ultime notizie hanno fatto crescere la preoccupazione, che il governo di Chisinau cerca di mitigare da settimane rassicurando i 3 milioni di abitanti che potrebbero fuggire in poche ore verso la Romania. La settimana scorsa, per la prima volta da molti anni, le autorità moldave hanno convocato l'ambasciatore russo a Chisinau, per esprimere disapprovazione dopo le intenzioni espresse da Mosca. «Il ministero degli Esteri della Moldavia - si legge in una nota - vede queste dichiarazioni come infondate e contraddicono la posizione della Russia a sostegno della sovranità e dell'integrità territoriale del nostro Paese, all'interno dei confini internazionalmente riconosciuti».

La Transnistria è una repubblica fantasma che neanche Mosca ha ufficialmente riconosciuto. Un’ambiguità che consente al Cremlino di giustificare la presenza dei suoi militari inquadrati come “peacekeeper” e non come “forza di occupazione”. Tiraspol dopo l’annessione della Crimea nel 2014, aveva chiesto alla Russia di essere riconosciuta come parte dei territori russi. Fino ad ora Putin ha lasciato nel cassetto la richiesta, agitandola non di rado come una minaccia nei negoziati internazionali. Ma dopo il riconoscimento delle repubbliche del Donbass, molti temono che l’istanza della Transnistria possa essere accolta, segnando così un’ulteriore fase del conflitto.

Di fatto l’enclave è una tortuga nell’entroterra del Mar Nero. Non c’è traffico illegale che non passi da lì: armi, droga, esseri umani, petrolio, perfino scorie radioattive. Il 40% del mezzo milione di abitanti è di origine ucraina e i malumori per la guerra contro Kiev crescono. Il coinvolgimento diretto di Tiraspol nel conflitto potrebbe risvegliare le tensioni interne. Tuttavia se davvero Mosca riuscisse a chiudere ogni accesso al mare per l’Ucraina, facendo tracimare la guerra all’interno della piccola e indifesa Moldavia, si aprirebbe un nuovo fronte con la Nato. «Chisinau dista un’ora d’auto dal confine con la Romania, paese Ue e della Nato. Ma se anche Mosca rinunciasse a farne un facile boccone - osserva un diplomatico europeo in Moldavia - non bisogna dimenticare che la regione ucraina di Odessa a sud confina proprio con la Romania, e non ci sarebbe bisogno di conquistare la Moldavia per minacciare un’espansione del conflitto alle porte dell’Ue».

Non è un caso che la Nato continui a far affluire uomini e mezzi proprio al confine tra Romania e Ucraina, lungo la sottile fascia costiera che affaccia sul Mar Nero. Per il ministro degli esteri rumeno Bogdan Aurescu questa presenza «non può essere vista da Mosca come una provocazione», ma una «risposta legittima».

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