mercoledì 29 aprile 2020
Il lockdown imposto dalle autorità a causa del coronavirus ha lasciato senza lavoro molte persone, che ora chiedono aiuti alimentari
La fila di persone in cerca di aiuti alimentari davanti alla St. Patrick Catholic Church alla periferia di Johannesburg

La fila di persone in cerca di aiuti alimentari davanti alla St. Patrick Catholic Church alla periferia di Johannesburg

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“Questa è la realtà che molte persone devono affrontare, chiedono il nostro sostegno per un po’ di cibo. Ci sono molte famiglie, molti bambini: facciamo appello alla vostra generosità”. Da Johannesburg, in Sudafrica, padre Pablo Velazquez, missionario scalabriniano, rinnova l’appello ad aiutare centinaia di persone ridotte alla fame. A causa della pandemia di coronavirus, infatti, le autorità sudafricane hanno imposto un severo lockdown per limitare i contagi. Il risultato, però, è che molte persone, soprattutto straniere, non possono lavorare e quindi guadagnare nulla. In Africa in generale, e il Sudafrica non fa eccezione, due terzi dei lavoratori sono impiegati nell’economia informale e non hanno sussidi in caso di perdita del lavoro. Ciò è particolarmente vero per i molti stranieri che vivono in Sudafrica, immigrati irregolari dai Paesi vicini.
“Molta di queste persone sono di altre nazionalità, vengono da Zimbabwe, Malawi, Mozambico, Angola, ma ci sono anche sudafricani – spiega padre Pablo -. E’ un momento storico, la pandemia sta causando questo problema perché la gente non può lavorare, non ha soldi, non ha cibo. È una realtà difficile. Noi ci prendiamo cura di tutti con una borsa di prodotti di base. La campagna lanciata dalla nostra congregazione in Europa è chiamata “Una sola casa”. Fin dal primo mattino sono centinaia le persone che si mettono in coda davanti alla St. Patrick Catholic Church alla periferia di Johannesburg. “Stiamo facendo tutto quel che possiamo per venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli che disobbediscono alle misure restrittive di restare a casa per andare in cerca di cibo – aggiunge padre Pablo -. È triste dirlo ma se le cose continuano così, non ce la faremo mai con le nostre risorse”.

E ancora: “Sono tante le persone che dicono: “È meglio morire di Coronavirus che morire di fame". Questa frase è stata espressa anche alla polizia che un giorno è venuta a mandare via le persone che fin dal mattino aspettavano cibo, chiedendoci di chiudere tutto e di mostrare il permesso per la distribuzione del mangiare. Nel mio cellulare – conclude padre Pablo - ricevo quasi tutti i giorni messaggi di ragazzi lavoratori immigrati disperati, senza niente da mangiare. Alcuni di loro sono l'unica risorsa economica per la propria famiglia rimasta in altri Paesi africani, come è il caso di tanti mozambicani vittime dello sfruttamento lavorativo qui a Johannesburg”. Ecco perché padre Pablo è i suoi confratelli della St. Patrick Catholic Church rinnovano l’appello alla generosità di quanti, dall’Europa, possano dare un aiuto concreto a chi continua ad avere bisogno.

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