sabato 9 novembre 2019
Domani quarto voto in quattro anni. Socialisti in calo mentre avanzano gli ultranazionalisti. In caduta anche Podemos e Ciudadanos. Si rischia il nuovo stallo
I cinque candidati "presidenziabili" dopo il dibattito tv, Ansa

I cinque candidati "presidenziabili" dopo il dibattito tv, Ansa

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«So che c’è molta gente stanca, tanti indecisi se andare a votare. Le comprendo perché sono le quarte elezioni generali negli ultimi 4 anni. Ma chiedo un ultimo sforzo, poiché il loro voto può sbloccare la situazione, rafforzare l’unica possibilità di governo del Paese, che è il Psoe, e sbarrare la strada all’ultradestra. Facciamo in modo che ci sia un governo, ahora sì, ahora España!». Un Pedro Sánchez sopra le righe fa appello al voto utile, mentre la sinfonia “Avanti” del Partito socialista suona un po’ più stanca e molte bandiere restano ammainate nel Pabellón Villamalea di Alcalá de Henares, a Madrid. Nel meeting di chiusura della campagna elettorale express, ma in pratica ininterrotta dalle generali del 28 aprile, il “cansancio”, la fiacca per il dèja vu, prevale sui sorrisi fra i simpatizzanti, che infilano rapidi i varchi di uscita. «Si sa che anche stavolta non ci sarà un vero vincitore, in questi mesi nessuno dei politici si è mosso dalle proprie posizioni ed è frustrante», commenta Maite, 58 anni, insegnante. «Bisognava fare a luglio l’accordo di governo con Unidas Podemos, il voto di domenica darà ali alle destre, soprattutto a Vox».
A fine luglio, quando il Parlamento bocciò la sua investitura, dopo la mancata coalizione con Unidas Podemos, Pedro Sánchez aveva commentato che era meglio così. Non avrebbe dormito sonni tranquilli, governando con la sinistra radicale – aveva detto – che pretendeva di controllare l’80 per cento della spesa sociale. Ma ora, sussurrano nel suo entourage, conta le ore e i minuti che mancano per uscire dall’incubo di quello che aveva immaginato come un trionfale “secondo turno” elettorale, anche sull’onda del successo alle Europee di maggio. Rischia, invece, di costargli carissimo, perché servirà – dicono i sondaggi – a dare ossigeno all’ultranazionalista Vox, già sdoganato dall’alleanza in Andalusia e a Madrid con il Partido popular (Pp) e il liberale Ciudadanos. Promette di raddoppiare fino a 58 i 24 seggi ottenuti ad aprile e trasformarsi nella terza forza dopo socialisti e Popolari. Il Psoe si fermerà a 115-120 seggi, rispetto ai 123 attuali. Mentre il Pp, nella nuova versione moderata di Pablo Casado, con 88 scranni ne riporterebbe a casa una ventina di quelli ceduti a Ciudadanos, ma senza frenare il travaso verso l’estrema destra. L’ondivago partito di Rivera crollerebbe con 14 deputati al quinto posto, dietro Podemos, in caduta a 38, ma che spera ancora di essere decisivo per un governo. Con Mas Pais – la new entry nata dalla scissione di Podemos – il blocco progressista sommerebbe 151-160 scranni, lontano dalla maggiorenza di 176, in un testa a testa con i 147-160 di quello conservatore. Per restare alla Moncloa con un esecutivo minoritario, Sánchez sarebbe quindi sempre costretto a negoziare con le forze indipendentiste o a cercare l’astensione del Pp, che Casado ha di nuovo escluso.

«Siamo in un labirinto», ha ammesso il premier in un’intervista a “La Sexta”. Ha sbagliato i conti? «Ha cambiato strategia e si è proposto come unico garante di ordine e stabilità rispetto alla crisi territoriale catalana. Ma, intanto, è cambiato il quadro e Sánchez non ha chiarito in che direzione andrà», spiega l’analista Ignasi Guardians, analista, ex diputato ed eurodeputato della democristiana Convergencia. Era deliberata la decisione di far coincidere la campagna con la sentenza ai 9 leader indipendentisti condannati a pene detentive fino a 13 anni. Ma imprevista l’alta tensione esplosa in Catalogna, con le azioni di “disobbedienza civile” dello Tsunami democratic, che minaccia di boicottare l’odierna giornata di riflessione in 300 comuni catalani e, da lunedì, una mobilitazione no-stop di tre giorni. Secondo Verónica Fumanal, analista ed ex communications manager di Sánchez, beneficeranno nelle urne i partiti secessionisti più radicali. Nonché Vox, che invoca l’arresto del president attivista Quim Torra, il commissariamento della Catalogna e la messa fuorilegge delle forze indipendentiste. E ha spinto i soci di Pp e Ciudadanos ad approvare una mozione in tal senso nell’assemblea della capitale.

Deliberata era pure “l’operazione Franco”, il trasferimento dei resti deil dittatore dal mausoleo del Valle de los Caidos al più discreto cimitero di Mingorrubio, che ha avuto sì l’effetto di resuscitare il post-franchismo. Ma anche quello – affatto secondario per il Psoe – di risvegliare l’elettorato di sinistra smobilitato e, soprattutto, frenare l’avanzata del Pp, con uno smottamento a destra. Ad aggravare il quadro, il rallentamento della crescita del Paese, contratta dal 2,3 all’1,9 per cento per quest’anno e dall’1,9 all’1,5 per cento per il prossimo. Polarizzazione fra blocchi ideologici intorno al nodo gordiano catalano. La Spagna che scherza col fuoco trattiene il respiro perché domani passi la nottata

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