mercoledì 20 novembre 2013
​L'associazione, fondata da un gesuita e vicina alla Chiesa di San Salvador, ha l'obiettivo di dare un nome e cercare i 1.200 minori inghiottiti dalla guerra civile. Distrutti preziosi documenti. I responsabili: attacco mirato di chi non vuole che si faccia luce. (di Lucia Capuzzi)
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Tavoli sottosopra, sedie rotte e un cumulo di carte incenerite. Quest’ultimo è il dettaglio più inquietante. Che rivela come gli autori della “razzia” alla sede di Pro Busqueda di San Salvador non siano “ladri comuni”. Il commando che all’alba di venerdì - ma la notizia è stata confermata oggi – ha fatto irruzione negli uffici dell’Ong aveva un obiettivo preciso: distruggere le “carte”, cioè le migliaia di documenti raccolti con pazienza dall’organizzazione, fondata nel 1994 dal gesuita Jon Cortina. Con il proposito di cercare i bimbi “ingoiati” dalla guerra civile che per 12 anni ha straziato il Salvador. Ottantamila persone sono state uccise e 8mila sono sparite nel nulla nel corso del conflitto. Almeno 1.200 sono bimbi. «Molti sono stati presi dai miliziani degli squadroni della morte, dopo aver ucciso i genitori, come “bottino di guerra”. Questo ultimi li hanno poi allevati come propri o rivenduti o semplicemente abbandonati», spiega monsignor Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador, storico collaboratore dell’arcivescovo assassinato Oscar Arnulfo Romero ed esponente di Pro Busqueda. Altre volte, i genitori stessi li hanno dati in adozione nella speranza di salvarli. Ora quei bimbi “rubati” sono sparsi per la nazione e per il mondo, Italia inclusa, dove ce ne sarebbero non meno di 200. Per vent’anni, il dramma è rimasto “invisibile”. Solo nel 2010, con l’arrivo alla presidenza di Mauricio Funes, il Salvador ha riconosciuto l’esistenza dei baby desaparecidos. Nel frattempo, Pro Busqueda ha rintracciato 300 minori grazie alle sue ricerche minuziose e coraggiose. E consentito alla Corte interamericana per i diritti umani di condannare due militari accusati per la scomparsa di due minori e il massacro delle loro famiglie. Risultati raggiunti grazie alle prove contenute in buona parte nei fogli distrutti dagli aggressori.Ecco perché la Ong non ha dubbi: “E’ stato un attacco mirato da chi non vuole che non si conosca la verità. Ma non il nostro impegno va avanti”.
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