domenica 3 agosto 2014
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Gli sfollati di Mosul devono poter rimanere in Iraq. Lo afferma con determinazione il patriarca caldeo di Baghdad in un messaggio che ha inviato ad AsiaNews. La soluzione da cercare, scrive Louis Raphael Sako, non sta nel «facilitare l’ottenimento di un visto » per l’estero, ma in «una soluzione politica che ci permetta di rimanere in questo Paese che noi amiamo, e di vivere in sicurezza, uguaglianza  e dignità con tutti». Il patriarca ringrazia i Paesi che hanno offerto di accogliere i rifugiati (Francia e Bahrein) per la loro «generosissima proposta», ma sottolinea che «lasciare la nostra patria significa distruggere la memoria della nostra lunga storia». Il patriarca – che venerdì è tornato a Baghdad da una visita alle famiglie rifugiatesi nel Kurdistan – racconta che «oggi queste famiglie di sfollati non hanno più nulla, i jihadisti li hanno derubati di tutto e sono in una situazione di precarietà, dolore, urgenza». Sulle loro case, prima di essere costretti alla fuga da Mosul, l’Isis aveva tracciato la «n» di nasara (nazareni). Pur rispettando la decisione di ognuno dei rifugiati, Sako ribadisce che «se la Francia e gli altri Paesi vogliono davvero aiutare, lo facciano incoraggiando queste famiglie a restare, inviando loro aiuti d’urgenza per lenire il loro dolore e contribuire alla costruzione di alloggi nelle città dove possano vivere in sicurezza».  Una risposta in tal senso la sta offrendo la Caritas italiana che ha concentrato nelle ultime settimane tutte le sue attività sugli aiuti agli sfollati prendendo cura di 2.550 famiglie, accolte in particolare in 12 villaggi della pianura di Ninive e nel settore di Alqosh. «Gli operatori  Caritas – si legge in un rapporto pubblicato  quattro giorni fa – intensificano gli sforzi, anche se costretti a lavorare in condizioni di pericolo e di incertezza. Per poter continuare a fornire aiuti hanno rivolto pertanto un primo appello alla rete internazionale Caritas per circa 190.000 euro».  Il nord dell’Iraq, dove sono accolti i profughi di Mosul, è ancora teatro di scontri tra le milizie curde e i jihadisti dello Stato Islamico. Sabato i peshmerga curdi hanno respinto un attacco del-l’Isis contro un impianto petrolifero e una diga a ovest di Mosul. Si parla di «almeno 100 terroristi morti oltre a 28 catturati». Nella stessa città, invece, si intensificano le operazioni dei gruppi di resistenza – le cosiddette Brigate Mosul – che ieri hanno sequestrato sei jihadisti appartenenti al gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi.  In questo contesto di totale insicurezza è facile capire il drastico calo dei cristiani nel Paese. Si stima che il numero dei fedeli di tutte le Chiese (caldei, assiri, siri, armeni e protestanti) sia calato da un milione 400mila nel 1980 a 800mila nel 2003 e a 300mila oggi. La stessa angoscia si respira anche in Siria, dove i cristiani continuano ad aspettare – da 15 mesi – la liberazione dei due vescovi rapiti nonché quella di padre Paolo Dall’Oglio. Ma intanto sono sempre meno. L’arcivescovo melchita di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart, ha detto di recente a una delegazione di Aiuto alla Chiesa che soffre che «prima della guerra vi erano circa 150.000 cristiani ed Aleppo era sede di numerose chiese che servivano una comunità cristiana presente in città fin dal III secolo. Circa 100.000 cristiani oggi, lottano per sopravvivere, restando». Il nuovo rapporto del Dipartimento di Stato Usa sulla libertà religiosa rileva che in Siria i cristiani ammontavano al 10 per cento della popolazione, mentre dopo tre anni di guerra sono meno dell’8.«Centinaia di migliaia di persone sono scappate dal Paese nel disperato tentativo di fuggire alle violenze perpetrate dal governo e dai gruppi di estremisti», scrive il dipartimento di Stato americano che non esita a dire che «in Siria, come nel resto del Medio Oriente, la presenza di cristiani sta diventando l’ombra di se stessa». "NOI NON POSSIAMO TACERE": IL TESTO DEL COMUNICATOLA TRACCIA PER LA PREGHIERALA CAMPAGNA WEB: SIAMO TUTTI CRISTIANICRISTIANI PERSEGUITATI, VAI AL DOSSIER
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