domenica 10 aprile 2011
Parigi non è più il cuore della Vecchia Europa attendista criticata da Washington nel 2003 per l’ostilità all’azione contro Saddam. Il presidente e il suo ministro Alain Juppé si sono trasformati nel tandem agguerrito di un Paese pronto a mostrare i muscoli, con l’avallo Onu e motivazioni umanitarie, contro due dittatori: Gheddafi e Gbagbo.
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Due offensive delicate in Libia e Costa d’Avorio promosse a tempo di record con l’avallo dell’Onu e due leader finiti nel mirino di Parigi: Muammar Gheddafi e Laurent Gbagbo. Da qualche settimana, decisamente, la Francia non assomiglia più al cuore della "Vecchia Europa" attendista biasimata nel 2003 da Washington ai tempi del contenzioso diplomatico sull’intervento in Iraq. Il presidente Nicolas Sarkozy, alias "Sarkò l’americano", e l’ex premier Alain Juppé, fresco di nomina a capo della diplomazia, si sono trasformati nel tandem agguerrito di un Paese pronto a mostrare i muscoli. Del resto, finora, senza destare forti contestazioni presso un’opinione pubblica nazionale pur tradizionalmente suscettibile. Per convincere l’Onu ad avallare i due interventi militari, con il loro corollario di sanzioni e moniti, la diplomazia francese ha invocato il dovere d’ingerenza umanitaria. In Libia, occorreva «evitare un bagno di sangue a Bengasi». Altrettanto imperativo era «difendere le popolazioni» in Costa d’Avorio. Ma accanto a questi argomenti, la virata interventista di Parigi è nata pure in un contesto molto speciale. Finora, la scommessa diplomatica più ambiziosa dell’era Sarkozy era stata l’Unione per il Mediterraneo (Upm), lanciata in gran pompa a Parigi nell’estate del 2008 e presto rimasta paralizzata in mezzo alle tensioni regionali. Nella sua versione originale, il progetto presupponeva e sanciva l’intesa speciale di Parigi con "due pilastri arabi": l’Egitto di Mubarak e la Tunisia di Ben Ali. Proprio i due regimi travolti nei mesi scorsi dalla "primavera araba", con il conseguente e brusco sgretolamento di molti piani geopolitici francesi. Lo smacco diplomatico per Parigi è stato particolarmente violento anche per via di vari scandali rivelati dalla stampa. In particolare, i viaggi di ministri francesi a spese dei clan affaristici e familiari al potere proprio in Tunisia ed Egitto. Ma il contesto francese è da mesi tempestoso pure sul fronte prettamente interno. La fine della legislatura si avvicina e Sarkozy sembra aver perduto lo scettro di "re del consenso" con cui era salito all’Eliseo nel 2007. Al di là dei sondaggi impietosi, l’ha dimostrato pure la batosta appena subita dai neogollisti alle elezioni provinciali, ultimo scrutinio nazionale prima della nuova corsa per l’Eliseo che culminerà nella primavera dell’anno prossimo. Ai vertici di questa "nuova" Francia, il desiderio di rivalsa abbonda, accomunando del resto sul piano personale la coppia Sarkozy-Juppé. Quest’ultimo, già per due volte a un passo dal tracollo politico (sciopero generale nel ’95, quand’era premier, poi la pesante condanna giudiziaria del 2004), non è giunto al Quai d’Orsay per offrire cocktail mondani. A Parigi, non si vedeva da lustri un capo della diplomazia tanto influente. Il "ministro di Stato" (preminenza all’interno del governo) ha imposto fin dal primo giorno a gran voce le proprie condizioni a Sarkozy, ridimensionando il perimetro d’azione del premier François Fillon.Se la molla interventista è scattata in questo contesto, almeno due condizioni hanno poi favorito il desiderio di grandeur: il fatto di detenere la presidenza semestrale del G8/G20, così come il recente ritorno della Francia nel Comando integrato della Nato. La "svolta atlantista" di Sarkozy ha in gran parte dissipato i vecchi sospetti di Washington verso il ruolo di alleato "irregolare" a lungo interpretato dalla Francia. Paradossalmente, si sono accresciuti così i margini di manovra di Parigi di fronte a un’Amministrazione americana molto restia ad esporsi eccessivamente su nuovi fronti.Ma mettendo in gioco a tal punto la propria statura internazionale, la Francia entra pure in un terreno d’azione saturo d’incognite. Le domande imbarazzanti rivolte a Parigi si accumulano già. Ad esempio: fino a che punto la recente chiusura mostrata sul fronte dell’immigrazione può considerarsi coerente con il "senso di responsabilità" internazionale invocato adesso energicamente dall’Eliseo e dal Quai d’Orsay?Come mostra il confronto con l’Italia sull’emergenza sbarchi, la Francia non potrà più defilarsi facilmente di fronte alle sfide contigue a tutti i nuovi "fronti" d’intervento. Reclamare una nuova grandeur non basta. Le sbavature militari e le "ombre" circa il pieno rispetto del mandato Onu in Libia e Costa d’Avorio, del resto, rischiano già di rincarare in fretta il conto.
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