giovedì 14 dicembre 2023
La dura replica dell'americano Sullivan: passare «entro settimane» a una fase di combattimenti «a più bassa intensità». La Casa Bianca: finisca il «prima possibile»
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu - Reuters

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Questione di tempo, perché cessino di piovere bombe a Gaza. Molto tempo, per Israele. Meno per gli Stati Uniti, che hanno fretta di chiudere. Serviranno «più di diversi mesi, sarà una guerra lunga», ha detto giovedì il ministro della Difesa Yoav Gallant al consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan, che a Tel Aviv ha incontrato anche il premier Benjamin Netanyahu e il gabinetto di guerra. «Ho detto ai nostri amici americani che siamo determinati a combattere fino all’eliminazione di Hamas e alla vittoria completa» ha dichiarato il premier. Un’analisi della Cnn sostiene invece che i rapporti tra Netanyahu e l’«amico» presidente Joe Biden, in difficoltà nel giustificare le vittime civili, non siano mai stati così tesi. Dalla Casa Bianca filtra che Sullivan ha intimato una «transizione» nel giro di «settimane» a una fase «a più bassa intensità» di combattimenti. Gli Usa vogliono che la guerra finisca «quanto prima possibile».

Questione di tempo è la sopravvivenza dei 138 ostaggi. E dei 2,3 milioni di palestinesi, di cui l’85% sfollati, per i quali il tempo passa in fila ad aspettare di ricevere una razione di farina. Questione di tempo anche il dilagare delle epidemie. All’ospedale al-Nasser di Khan Yunis sono comparsi una trentina di casi di epatite A, che ha un mese di incubazione e si contrae per ingestione di acqua o cibo contaminati. «Entro un mese ci aspettiamo un’esplosione di casi» teme il primario di Pediatria Ahmed al-Farra.

Tutte le comunicazioni web e telefoniche nell’enclave da giovedì sono interrotte. L’esercito comunica, come sempre, con il lancio di volantini in arabo. L’ultima novità è una taglia di 400mila dollari su uno dei massimi leader di Hamas, Yahya Sinwar: il denaro in cambio delle informazioni. Una ricompensa di 300mila dollari è prevista per chi darà notizie su Muhammed Sinwar, che comanda la brigata meridionale di Hamas, mentre ne sono promessi 100mila a chi sappia qualcosa su Mohammed Deif, che guida l’ala militare.

L’offensiva procede con ogni mezzo, dall’aria e da terra. E per la prima volta con l’acqua: la televisione pubblica israeliana Kan rende noto che nel nord di Gaza l’esercito, per la prima volta, ha allagato un tunnel di Hamas dopo aver montato grandi pompe per prelevare l’acqua dal mare. «Operiamo in svariati modi sotto il livello terrestre» si è limitato a commentare il portavoce militare Daniel Hagari.

Il ministero della Sanità, gestito da Hamas, afferma che il bilancio delle vittime è salito a 18.886, oltre a 50.897 feriti. Nelle fila israeliane è morto un riservista di 38 anni, portando il totale a 116 dall’inizio dell’offensiva, mentre otto sono stati feriti gravemente.

Un sondaggio condotto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza durante la tregua di fine novembre, pubblicato dal Guardian, rivela che il sostegno ad Hamas è cresciuto. In Cisgiordania sarebbe più che triplicato. Per il 60% dei 1.231 intervistati l’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrebbe essere sciolta. Il più popolare dei candidati legati ad Hamas è risultato Marwan Barghuti, in carcere dal 2002.

Sempre dalla Cisgiordania arriva un video che fa discutere. In una moschea di Jenin, dove da giorni è in corso un’operazione delle forze armate israeliane, sono stati filmati soldati che cantano l’inno nazionale e recitano una preghiera ebraica. Identificati, sono stati subito rimossi dal servizio attivo. L’esercito assicura che «saranno puniti di conseguenza».

Dall’inizio dell’anno in Cisgiordania sono stati uccisi 271 palestinesi di cui 69 minori.

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