mercoledì 2 febbraio 2011
È scoppiato un incendio al Museo egizio del Cairo a causa del lancio di alcune molotov. Ci sono diversi morti e decine di feriti in piazza Tahrir, dove sono scoppiati tafferugli tra manifestanti pro e contro Mubarak. L'esercito ha invitato i manifestanti a sospendere le proteste. Gli Usa condannano le violenze e invitano alla moderazione.
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È scoppiato un incendio al Museo egizio del Cairo a causa del lancio di alcune molotov, secondo quanto annuncia la tv Al Jazira. L'esercito sta tentando di spegnere le fiamme; non è chiaro in quale settore si siano sviluppate.Ci sono stati alcuni morti e molti feriti negli scontri in piazza Tahrir scatenati dall'arrivo dei manifestanti pro Mubarak. Lo ha detto la televisione Al Jazira. L'esercito egiziano ha invitato i manifestanti, ancora in piazza al Cairo contro il presidente Hosni Mubarak, di sospendere le proteste e tornare a casa. Lo ha riferito alla tv di Stato un portavoce delle forze armate. "L'esercito chiede ai manifestanti di tornare a casa per ristabilire la sicurezza e la stabilità delle strade", ha detto il portavoce riferendosi alla popolazione che anche oggi è scesa in piazza contro il governo Mubarak. La tv di Stato ha inoltre annunciato che il coprifuoco è stato ridotto in tre città del Paese tra cui nella capitale.Le attività del Parlamento in Egitto sono state sospese finché non verranno riesaminati i risultati delle elezioni legislative del 2010, contestati dall'opposizione. La Casa Bianca ha condannato le violenze nelle manifestazioni in corso al Cairo e ha espresso profonda preoccupazione per gli attacchi agli organi di informazione. "Gli Stati Uniti deplorano e condannano la violenza in atto in Egitto e siamo profondamente preoccupati per gli attacchi ai media e ai manifestanti pacifici", ha affermato il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, "rinnoviamo il nostro forte appello alla moderazione". LA CRONACA DI LUNEDI'Lascerà il potere, ma non subito. Stretto nell’angolo da una protesta popolare che ieri ha toccato il suo culmine con centinaia di migliaia di persone scese in piazza per chiedere le sue dimissioni, Mubarak getta la spugna. Ma non pensa di fuggire come un qualsiasi dittatore, intende uscire di scena a testa alta. Lo ha annunciato a tarda sera in tv, in un discorso alla nazione al termine di una giornata che passerà alla storia. «Stiamo vivedo giorni molto difficili, la mia prima responsabilità è ristabilire la calma nel Paese. E a questo mi dedicherò nei mesi di mandato che mi restano. Non mi ricandiderò alle elezioni del prossimo settembre», ha dichiarato il raìs, anziano e sofferente, apparso molto provato e più malconcio del solito.Mubarak ha confermato l’avvio delle trattative tra il suo vice, Omar Suleiman, e le forze d’opposizione per mettere fine all’instabilità di questi giorni. E garantire la pacifica transizione del potere. Infine, ha affermato di essere pronto a cambiare la Costituzione per quanto riguarda la durata del mandato presidenziale e il potere dell’esecutivo. Il passo indietro gli è stato suggerito da Barack Obama, stando a fonti vicine alla Casa Bianca che hanno trovato conferma qui al Cairo. «Il tuo tempo è finito», avrebbe detto l’inviato americano Frank Wisner in un incontro molto teso con Hosni Mubarak.È una mezza vittoria per l’opposizione che ha ribadito la sua richiesta di immediate dimissioni del presidente: «Noi non lasceremo la piazza, è lui che deve lasciare subito».E ha annunciato che la protesta andrà avanti. «Mubarak, erhal!» (Mubarak, vattene!) è stato infatti lo slogan scandito da una folla oceanica per tutto il giorno. Mubarak «lasci il Paese per evitare un bagno di sangue», e lo faccia «entro venerdì», ha intimato Mohamed El Baradei, il premio Nobel per la pace divenuto un simbolo dell’opposizione egiziana. E dopo aver ascoltato il discorso del raìs ha commentato: «Non ci sarà alcun vuoto di potere se Mubarak se ne va». Poi ha aggiunto: «Non ascolta la voce del popolo» e la modifica della Costituzione è «una presa in giro».Non s’era mai visto sulle rive del Nilo un raduno di massa così imponente come quello che si è tenuto ieri nella centralissima piazza Tahrir, epicentro della rivolta che da otto giorni scuote l’Egitto. Accogliendo l’appello lanciato dal movimento spontaneo d’opposizione per una «Marcia di un milione di persone», una marea umana si è riversata per le strade e le piazze d’Egitto. A dire il vero non c’è stata alcuna marcia sul palazzo presidenziale di Heliopolis, alla periferia del Cairo, come invece era stato preannunciato. Un simile gesto avrebbe comportato l’abbandono di piazza Tahrir, riconquistata dai dimostranti venerdì scorso, col rischio di perdere il controllo del luogo simbolo della protesta popolare che ieri appariva invaso da una folla straripante. Trecentomila persone secondo le stime più realistiche, oltre un milione dicono gli organizzatori. Tantissima gente ha manifestato anche ad Alessandria, Suez, Ismaila e in molte altre città del Paese fino a tarda sera nonostante il coprifuoco, tranquillamente ignorato. Non è stata fermata neppure dal blocco dei treni e dalla chiusura delle strade principali, al Cairo c’è chi si è fatto decine di chilometri a piedi per unire la sua voce a quella dei dimostranti.Giovani e meno giovani, disoccupati e uomini d’affari, famigliole coi bambini ed anche moltissime donne non accompagnate da parenti (fatto insolito per un Paese islamico), ragazze in jeans e anziane signore con la jihab, il velo integrale, tutti in piazza della Liberazione (questo significa Tahrir in arabo) per condividere la speranza in un cambiamento che appare a portata di mano. Non c’è l’ombra di un poliziotto, in giro si vedono tantissimi militari che però mantengono un basso profilo. C’è una ressa enorme che s’accalca fin dalle prime ore del mattino, l’afflusso è lento ma ordinato ed i controlli vengono effettuati con gentilezza dai ragazzi del servizio d’ordine che distribuiscono volantini. Ma non c’è tensione bensì un clima di festa punteggiata da slogan fantasiosi ed ironici. «Mubarak, c’è un hotel a Gedda che ti sta aspettando», (alludendo alla fuga in Araba Saudita del dittatore tunisino Ben Alì). «Susanne (la moglie di Mubarak già fuggita a Londra, ndr), trascinati dietro tuo marito!».Protestano contro il regime, i trent’anni di leggi speciali, la corruzione diffusa. «Non abbiamo più paura – dice Magdi Allathay, ingegnere in pensione che ha sempre sognato questo momento – Abbiamo ritrovato la dignità». Al suo fianco c’è un giovane con la testa fasciata, Ahmed Balig, esponente del movimento studentesco "6 aprile". «Sono salvo per miracolo, mi hanno estratto una pallottola ad aria compressa, un regalo dei poliziotti che mi hanno sparato addosso durante una manifestazione», racconta.Nata spontaneamente dai giovani, la protesta contro Mubarak si è ben presto allargata a tutta la società coinvolgendo i partiti dell’opposizione tradizionale. I più attivi sono i Fratelli musulmani, l’organizzazione islamista messa fuori legge ma molto radicata nella società egiziana. Si dicono pronti ad un dialogo con i militari per «una pacifica transizione», insieme con tutte le altre forze che s’oppongono al raìs. Ma in Egitto c’è ancora chi sostiene Mubarak e ieri ha manifestato in suo favore. «Lui è il garante della stabilità del Paese, se cade finiremo come in Iraq!» hanno gridato alcune centinaia di persone che si sono radunate davanti all’edificio del ministero degli Esteri. È soprattutto la comunità copta, vittima spesso di violenze, a temere il caos e l’arrivo al potere degli integralisti islamici. Luigi Geninazzi
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