sabato 27 maggio 2023
La speranza del vescovo di Mosca, Pezzi. Il vice ministro russo Galuzin: l’Ucraina torni neutrale, rinunci a Nato e Ue. Il presidente ucraino Zelensky replica: la guerra finirà con la nostra vittoria
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La guerra è sui confini, non solo quelli tra Mosca e Kiev. Lo sanno in Moldavia dove con le armi dell’infiltrazione russa nell’economia e nelle istituzioni, e con la minaccia crescente di sabotaggi dalla Transnistria, il sentiero della pace è una via minata dai rubli e dagli arsenali. E dove si guarda con molto interesse all’iniziativa della Santa Sede.

«Preghiamo perché questa missione possa essere un primo passo verso una pace giusta e duratura», ha auspicato Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi della Federazione Russa, a margine di un incontro a Roma con il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, a proposito della missione affidata dal Papa al cardinale Matteo Zuppi. «Questa bella notizia – ha aggiunto Pezzi all’agenzia Sir – mi ha raggiunto al mio sbarco a San Pietroburgo, dove mi attendeva un bellissimo arcobaleno! Mi pare sia il commento del cielo: un arcobaleno che abbraccia, non divide».

Il mandato in questa prima fase non è quello di portare al tavolo Kiev e Mosca, «la missione di pace affidata dal Papa al cardinale Matteo Zuppi – ha precisato il cardinale Pietro Parolin – dovrà cercare soprattutto di favorire un clima, un ambiente che possa portare a percorsi di pace». È l’impresa più ardua, perché nel pieno dei combattimenti le leadership temono che parlare di dialogo possa essere equiparato ad arrendersi. «Dobbiamo arrivare al giorno in cui potremo dire di aver posto fine a questa guerra con la nostra vittoria», ribadisce il presidente ucraino Zelensky, parlando della «pace che trasmetteremo ai nostri figli e nipoti come eredità della generazione attuale. Non abbiamo e non vogliamo altre alternative». La Cina, sospettata di giocare per Mosca, sembra voler invece rassicurare le cancellerie, annunciando che «compirà sforzi concreti per una soluzione politica alla crisi ucraina», ha dichiarato l’inviato del governo cinese per gli affari euroasiatici, Li Hui, durante l’incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

Un dialogo sulle questioni umanitarie può contribuire ad aiutare anche quello politico. Lo sostiene fra Giulio Cesareo, portavoce dei Frati di Assisi, pensando alla missione del cardinale Zuppi. I frati di Assisi, sulla rivista “San Francesco patrono d’Italia”, hanno ospitato un’intervista a padre Stanislav Kava, custode di Santa Croce in Ucraina, nella quale il superiore dei francescani invita a non equivocare le parole del Papa, talvolta incompreso «anche in ambito cattolico».

Le battaglie sul campo seguono lo spartito del duro confronto diplomatico. Ufficialmente non c’è alcun dialogo in corso sui due fronti, ma la serie di dichiarazioni delle diverse parti in causa invitano a non tralasciare neanche la punteggiatura delle varie dichiarazioni. «L’Ucraina deve rinunciare all’adesione alla Nato e all’Ue e tornare allo status di Paese neutrale e non allineato: è una delle condizioni per il successo del processo di pace», ha affermato il vice ministro degli Esteri russo Mikhail Galuzin in un’intervista alla Tass, secondo cui la risoluzione del conflitto deve basarsi sulla «difesa della popolazione del Donbass, la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina e l’eliminazione delle minacce alla sicurezza della Russia provenienti dal suo territorio». Nell’intervista Galuzin non rimarca il tema dell’intangibilità dei territori annessi da Mosca. Come aveva fatto anche l’inviato cinese Li , che «in nessun momento» ha detto che alla Russia andrebbe lasciato il possesso dei territori occupati, ha assicurato all’Ansa un alto funzionario europeo informato sui dettagli del colloquio Russia-Cina: «Non lo ha detto e non lo ha nemmeno lasciato intendere». Una conferma viene dal ministro degli Esteri ucraino Kuleba che, dopo aver consultato diplomatici a Varsavia, Berlino, Parigi e Bruxelles, ha smentito che «ci siano stati annunci o negoziati anche sul riconoscimento come Russia di quei territori che la Russia occupa attualmente in Ucraina». La risposta della Nato è meno accondiscendente. Che si possa trattare di una trappola diplomatica di Mosca nella speranza di posticipare la controffensiva di Kiev e riorganizzare gli attacchi è più di un timore, visto anche il numero di allarmi e attacchi sferrati anche nelle ultime ore.

L’Alleanza Atlantica intende offrire a Kiev la creazione di un Consiglio Nato-Ucraina come strumento per rafforzare i «rapporti politici» e affiancare il piano di assistenza militare pluriennale, che al momento non prevede l’adesione di Kiev all’alleanza, ma non la esclude. Alcuni alleati, specie nel fianco orientale, stanno infatti spingendo perché all’Ucraina venga offerto già al summit di Vilnius di luglio un cronoprogramma per l’ingresso nella Nato, ma su questo punto non c’è ancora l’accordo tra i 31 Paesi membri dell’alleanza.

Il punto di forza dell’iniziativa voluta da papa Francesco può essere proprio il profilo personale del cardinale Zuppi, come confermano ad Avvenire fonti diplomatiche ucraine ed europee a Kiev, e come ribadisce monsignor Pezzi: «Zuppi è un testimone di pace, che sa soffrire per la pace, che sa essere paziente». Non è tempo per calcolare le probabilità di riuscita, «queste missioni non sono mai impossibili, né tanto meno di facciata – osserva l’arcivescovo di Mosca –, perché partono dalla certezza vissuta della pace in Cristo Risorto».

Da queste parti la politica si fa anche sugli spalti. Il campionato di calcio della Moldavia è stato appena conquistato dallo Sheriff, la squadra di Tiraspol, capitale della regione separatista filorussa della Transnistria, e allenata dall’italiano Roberto Bordin. La proprietà, come del resto ogni costa nella provincia ribelle, è di un imprenditore legato a Mosca. Nonostante le tensioni con la Russia, accusata di voler eseguire un “golpe bianco” per riportare Chisinau nella propria orbita e strapparla alle seduzioni occidentali, il governo moldavo non prevede di escludere lo Sheriff dal campionato moldavo, marcando attraverso il pallone l’appartenenza della Transnistria ai propri confini. Un rompicapo diplomatico, prima che sportivo. Perché a Tiraspol ci sono almeno 1.500 militari russi inquadrati come “forza di pace” ma che stanno a guardia del più vasto arsenale lasciato in eredità dall’Unione Sovietica.

Armi di cui Mosca può aver bisogno da un momento all’altro per consolidare i magazzini che si vanno svuotando a causa della guerra contro l’Ucraina, ma che sono anche un’assicurazione per la Transnistria. Priva di aeroporti attivi e di confini sicuri, la regione che si affaccia solo su Ucraina e Moldavia non ha uno sbocco sul mare. Potrebbe venire inghiottita da forze ostili in poche ore. Kiev ha offerto a Chisinau i propri soldati per riportare la regione separatista sotto controllo moldavo, ma la presidente Maia Sandu per ora ringrazia e rifiuta, forte anche di una accresciuta presenza della Nato in Moldavia e Romania.

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