giovedì 7 aprile 2022
L'insospettata resistenza morale dell'Ucraina, l'impreparazione delle truppe inducono gli strateghi russi a chiedere di prolungare la guerra
Vladimir Putin

Vladimir Putin - NSA/SERGEY GUNEEV/KREMLIN POOL/SPUTNIK / POOL MANDATORY CREDIT

COMMENTA E CONDIVIDI

Bolshe vremeni. Più tempo. I primi a riconoscerlo sono i russi. Giusto ieri il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ammetteva: «Il processo negoziale tra Mosca e Kiev sta continuando, ma sembra più difficile del previsto. Ovviamente, vorremmo vedere maggiori progressi da parte ucraina».

Non occorre la scienza pluridecennale dei cremlinologi per leggere attraverso le righe: ciò che serve a Vladimir Putin e alle sue armate è il tempo. Un tempo che a quarantadue giorni dall’invasione non è stato sufficiente a ridisegnare i confini delle aree conquistate e le zone reclamabili a un tavolo di trattative. Quella drastica spartizione dell’Ucraina in due monconi, l’ovest con Kiev e Leopoli da una parte e l’est con la linea del Dniepr a scendere fino alla Crimea dall’altra sembra un progetto irrealizzabile. Come abbandonata – per ora, almeno – pare l’ipotesi originaria di entrare a Kiev rovesciando il governo, arrestando o eliminando Zelensky e insediando un presidente-avatar ligio ai dettami di Mosca.

Il Blitzkrieg preannunciato, come si è visto, è puntualmente fallito per svariate ragioni, dall’insospettata resistenza morale dell’Ucraina all’impreparazione di gran parte del contingente militare, fino alla sottovalutazione della capacità controffensiva dell’esercito e delle milizie volontarie del Paese aggredito.

Per questo gli strateghi di Putin ora chiedono di prolungare la guerra. Di quanto? Molto, e questa non è per niente una notizia confortante. Un prolungamento indefinito, necessario e sufficiente perché torni a disegnarsi con nettezza quella mezzaluna geografica che dalle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk discenda lungo il Mare di Azov fino a Mariupol congiungendosi con la Crimea già annessa nel 2014, fino occupare l’intera striscia costiera del Mar Nero, da Sebastopoli a Odessa, senza escludere – ma questo è un disegno che già da mesi, forse anni stava sulle scrivanie dei militari con la stella rossa – quell’esile lembo di Bessarabia di nome Transnistria. Una falce di vecchi e nuovi territori che faccia da merce di scambio sulla bilancia delle trattative. Ma i fatti per ora reclamano esiti assai controversi rispetto alle aspettative di Mosca. Mariupol, per cominciare. La città semidistrutta e martoriata dai massicci bombardamenti (lo stile russo ha come un marchio di fabbrica: l’esempio più vicino è l’annientamento di Grozny in Cecenia e quello di Aleppo in Siria) non si è ancora arresa, la resistenza continua nonostante la penuria di acqua potabile e l’impossibilità di evacuare i civili.

Come continua a Mykolaiv, nodo strategico che i russi bombardano dal mare e dalla penisola di Kherson, l’unica città realmente nelle mani delle armate di Putin. «I russi – dice il sindaco di Mykolaiv – devono farci capitolare per puntare su Odessa e chiudere per sempre all’Ucraina l’accesso al mare, occupare i nostri porti e strangolare la nostra economia. Per questo stanno radunando nuove truppe provenienti dalla Crimea, e le stanno concentrando nella regione di Kherson. Ci aspettiamo che ci attacchino, nei prossimi giorni».

Previsione purtroppo fondata: senza Mykolaiv è difficile per Mosca sferrare un’offensiva con significative probabilità di successo a Odessa. Per chiudere la partita a est ed estendere i dominions russi fino al porto voluto da Caterina la Grande per dare all’impero un accesso ai mari caldi occorrerà ancora tempo. Il tempo per privare le forze ucraine del carburante e dei rifornimenti necessari. Un tempo lungo, molto più di quanto ci si potesse immaginare. Ieri il segretario generale della Nato lo ha confermato: «Dobbiamo essere pronti ad un lungo confronto con la Russia – ha detto Stoltenberg – e per questo dobbiamo mantenere le sanzioni e rafforzare la nostra difesa». «Adesso sono vivo, ma fra tre minuti che sarò? Qualcuno o qualche cosa. Ma dove?» Sono parole di Lev Myškin, protagonista de L’Idiota di Dostoevskij. Un’invocazione che vale per tutti, uomini, donne, bambini, partigiani, soldati, invasori. Tutti prigionieri di quel tempo che Mosca cercherà di allungare all’infinito. Bolshe vremeni, più tempo. Per aver più peso nelle trattative. Quando ci saranno.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: