lunedì 17 gennaio 2022
Il rifugiato è stato ammesso allo United World Atlantic College, la scuola frequentata dai rampolli dell’alta società internazionale, che si trova nel castello di St. Donat in Galles
Il castello di St. Donat, in Galles, che ospita lo United World Atlantic College

Il castello di St. Donat, in Galles, che ospita lo United World Atlantic College - Archivio

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Dalla polvere di Jalalabad al lusso di un college allestito in un’ala del castello di St. Donat, in Galles. È la “favola” di Abobakar Sadiq Miakhel, 18 anni, rifugiato afghano ammesso con borsa di studio allo United World Atlantic College, la scuola frequentata dai rampolli dell’alta società internazionale, tra cui anche Leonor e Alexia, principesse, rispettivamente, di Spagna e Paesi Bassi.

Quella odierna è per il giovane una vita che quando viveva in Afghanistan non aveva mai neppure immaginato. «Andare a scuola – ricorda – significava mettere in conto che il ponte che dovevo attraversare per raggiungerla poteva essere fatto saltare in aria dalle bombe. Diverse volte abbiamo dovuto saltare le lezioni perché non c’era modo di arrivarci». Abobakar parla oggi dalla sua stanza in una fortezza del dodicesimo secolo con la finestra che si affaccia su 122 ettari di verde. Il suo racconto sull’Afghanistan risale al periodo che ha preceduto il ritorno dei taleban al potere. La sua famiglia – padre, madre e cinque figli – ha lasciato Jalalabad nel 2016 quando si è presentata la possibilità di un trasferimento in Belgio. Racconta di essersi messo a studiare francese, da solo, utilizzando dizionari e libri di grammatica. «È stato molto difficile», ammette.

L’opportunità di partire per il Regno Unito è arrivata nel 2020 per mezzo di una fondazione, la King Baudolin, impegnata nell’integrazione dei rifugiati. Gliel’ha segnalata un amico di famiglia. La portata della svolta è stata notevole. L’Atlantic College è l’istituto scelto dall’intellighenzia internazionale bohémien per la formazione dei propri figli. La retta per il biennio supera gli 80mila euro. È stata fondata nel 1962 dal pedagogista tedesco Kurt Hahn (che è stato anche educatore del defunto principe di Edimburgo, Filippo) come una sorta di “esperimento” che, nel pieno della Guerra Fredda, doveva educare alla pace giovani di diverse nazioni. Da tempo offre borse di studio ai rifugiati ma l’anno scorso, in seguito al drammatico ritiro delle truppe alleate da Kabul, ha ampliato fino a 20 il numero di posti riservati agli afghani. «La cosa che più mi ha sorpreso di questo posto – continua Abobakar – è il rispetto che ognuno porta per l’altro nonostante le grandi diversità».

Il suo pensiero va agli amici e ai parenti che sono ancora in Afghanistan. Coetanei che con il ritorno dei taleban hanno visto naufragare i propri progetti. «Mia zia – sottolinea – era studente di medicina. Ha dovuto interrompere i suoi studi». «Sento molto la mancanza del mio Paese, chi non l’avrebbe – afferma –, ma guardo avanti». Con orgoglio mostra in chat il progetto a cui sta lavorando per il corso di tecnologia: una App per i rifugiati. «È una guida – illustra – con indicazioni pratiche sul Paese che li accoglie e traduzioni per cavarsela in ogni situazione». La grafica riproduce l’approdo di una navicella spaziale su pianeti diversi a seconda della città: Londra, Bruxelles, Parigi. «Ne farò di sicuro una anche per l’Italia», promette. Il motivo astronomico riflette, senza volerlo, la distanza siderale tra la sua vita a Jalalabad e quella in Galles. L’unica cosa che non cambia è il suo sogno: «Un futuro di pace e prosperità per l’Afghanistan e per il mondo intero».

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