venerdì 17 maggio 2019
Il presidente della Fondazione Schuman: «Si è creata la mentalità per cui si può chiedere solidarietà dall’Europa senza in cambio dare nulla»
Piotr Nowina Konopka durante una manifestazione della Fondazione Schuman a Varsavia

Piotr Nowina Konopka durante una manifestazione della Fondazione Schuman a Varsavia

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Portavoce di Walesa dall’82 alll’89, deputato, negoziatore dell’ingresso nell’Ue, funzionario a Bruxelles, dal 2013 al 2016 ambasciatore presso la Santa Sede, Piotr Nowina Konopka è ora presidente della Fondazione Schuman.

Piotr Nowina Konopka, come spiega questo euroscetticismo polacco. Dove avete fallito?

Si teme una Ue che non si conosce. E c’è una ambiguità: i giovani conoscono l’Europa perché viaggiano, sanno le lingue, ma pensano che tutto ciò sia dato per sempre. Io, invece, non dimentico di non aver avuto un passaporto per quasi 20 anni. Ma la prima fonte di questo euroscetticismo è una strategia politica che vuole creare tensioni, frammentarci.

Al di là delle polemiche elettorali, come definirebbe il rapporto fra Varsavia e Bruxelles?

Un polacco è presidente del Consiglio Europeo, un polacco è stato presidente del Parlamento Europeo: raro per un Paese di recente ingresso. C’erano timori per l’ingresso della Polonia ma abbiamo affrontato questa sfida e ora abbiamo ammodernato in modo esemplare questo Paese. La nuova ondata gioca, invece, sui risentimenti, sull’ambizione di essere ricchi come i tedeschi. Le relazioni con la Commissione e il Consiglio sono tese: la Polonia ha subito affermato di non voler accogliere i migranti, che sono un pericolo per la nostra identità nazionale. La Chiesa polacca, a mio parere, non ha avuto una reazione chiara: ha cercato di aprire i corridoi umanitari, ma quando il governo ha bloccato il progetto non si sono opposti. Si è creata la mentalità per cui si può chiedere solidarietà dall’Europa senza in cambio dare nulla.

Come potrebbe evolvere questo atteggiamento?

Dire che c’è un dominio dei burocrati non ha senso ma fa effetto sull’uomo della strada. E alcuni sussurrano: «Prima Mosca, adesso Bruxelles».

Quali, invece, le priorità di una agenda europeista?

Si deve riaffermare il ruolo delle diverse nazionalità, non di una Europa delle nazioni. Poi, seguendo l’insegnamento di papa Francesco, c’è la questione degli «scartati» dalla società. Siamo andati troppo oltre con la nuova economia liberale, mentre bisognerebbe sviluppare meglio le politiche sociali. Infine l’educazione andrebbe sviluppata meglio in senso comunitario.

Come guarda al 26 maggio: con timore o speranza?

Vi è incertezza sul progetto europeo e una forte altalena dell’elettorato. La maggioranza sarà ancora delle forze europeiste, ma se leghisti e Pis avranno il 40 per cento sarà difficile formare una maggioranza stabile.

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