giovedì 21 aprile 2022
L'ex zar dell'asta, a Roma con 20 atleti ucraini, racconta la sua sofferenza: «Cerco di salvare il mio popolo. Grazie per tanta solidarietà. Per me contava ogni centimetro, so quanto vale ogni gesto»
Serghej Bubka con (a destra) Giovanni Malagò, l'olimpionica Manuela Di Centa e gli atleti ucraini.

Serghej Bubka con (a destra) Giovanni Malagò, l'olimpionica Manuela Di Centa e gli atleti ucraini. - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Da lassù, dai 6 metri e 15 centimetri che sono stati il suo primato da "zar" del salto con l’asta (e mondiale al coperto, rimasto imbattuto dal 1993 per 21 anni, un’era nell’atletica), il mondo gli era sempre parso più limpido. Oggi Sergej Bubka, leggenda mondiale dello sport e l’atleta ucraino più famoso, a 59 anni mantiene un invidiabile fisico asciutto, ma la sua visione del mondo ora è venata dalla tristezza che vela i suoi occhi azzurri. L’aggressione russa al suo Paese ha segnato quest’uomo, giunto a Roma, al Centro di preparazione olimpica "Giulio Onesti" del Coni, per suggellare il programma di supporto agli atleti ucraini voluto dal Comitato olimpico guidato da Giovanni Malagò. Anche Bubka ha lasciato Kiev su un treno per Leopoli, «in uno scompartimento - racconta - pieno di bambini sistemati anche sugli alloggiamenti per i bagagli», sfamati con le provviste che il campione era riuscito a portare appresso, poi è riuscito a passare il confine in auto. La commozione lo blocca subito sul palco dell’aula magna della struttura: «Ho il cuore spezzato. Sto facendo di tutto per portare la pace e salvare il mio popolo», dice prima di fermarsi, un minuto di silenzio per le vittime. Poi aggiunge, Bubka, che è anche presidente del Comitato olimpico di Kiev e membro del Cio: «Non ho mai trovato in vita mia tanta solidarietà come qui in Italia». Con lui ci sono un ministro del governo del presidente Zelensky, Vadym Gutzeit, titolare dello Sport (e a sua volta olimpionico, a Barcellona ’92, nella sciabola a squadre), e una ventina di atleti di 3 specialità: canottaggio, scherma (tra cui un’altra olimpionica, Olga Kharlan) e taekwondo. Solo una rappresentanza degli sportivi ucraini di 20 discipline diverse che in queste settimane stanno riuscendo a portare avanti gli allenamenti in varie parti d’Italia, al riparo dalle bombe e dalle sofferenze della madrepatria. Animati almeno da una speranza: portare avanti la loro passione. «Sono orgoglioso che l’Italia sia il Paese – dice al suo fianco Malagò, accompagnato dalla sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali – che ospita più atleti ucraini, anche il premier Mario Draghi è fiero di quel che stiamo facendo». Ma i riflettori oggi, come una volta negli stadi, inevitabilmente sono tutti per "il Bolt dell’asta", l’uomo che segnò un nuovo paradigma, il primo a volare oltre i 6 metri dischiudendo quote degne dei fratelli Montgolfier (oggi il primato mondiale è di 6,20 metri). Anche lui, abituato a stare quasi tra le nuvole, fatica oggi a orientarsi tra i fumi delle battaglie. E alla domanda su che cosa direbbe a Vladimir Putin, se se lo trovasse di fronte, preferisce glissare.

Bubka, lei ha vissuto tutto il travaglio dell’ex impero sovietico. Cominciò a vincere ventenne nel 1983, ai Mondiali di Helsinki, da simbolo dell’Urss (fino all’oro di Seul 1988), e concluse la carriera da vittoriosa star ucraina. Si immaginava tutto ciò?

Sembrava che questa guerra non potesse mai capitare, e invece è capitata. Quando è cominciata mi pareva impossibile, è stato uno choc, ancora oggi mi pare un brutto sogno. La nazione dove sei nato è la tua nazione: io sono nato nell’allora Unione Sovietica, ma sono ucraino.

È uno choc ancor maggiore per un uomo di sport?

Esatto. Sono cresciuto nel convincimento dello sport che affratella i popoli. Dov’è oggi questa fratellanza? Ricordo il 1984: ci fecero boicottare le Olimpiadi di Los Angeles, io ero il gran favorito per la medaglia d'oro, ci dicevano che il nostro sistema era migliore del capitalismo americano. Ma non era così. L’altroieri ho visitato lo stadio Olimpico di Roma dove, nella prima gara dopo i Giochi dell’84, si sono incontrati il capitalismo e il socialismo (fu la sera, mitica, del doppio record mondiale nell’asta: prima il francese Vigneron a 5,91 e poi Bubka a 5,94, ndr). Mi sono commosso anche lì.

Come sta vivendo questo periodo?

Turbato, è difficile descrivere a parole quello che provo dentro. Mia mamma ha 85 anni, vive a Lugansk (territorio di una delle due repubbliche nell'Est dell'Ucraina autoproclamate indipendenti dai filo-russi, ndr) dove sono nato anch'io, ma a fine gennaio si era spostata a Donetsk, dove vive mio fratello, per un’operazione al gomito. Ho paura di non vederla più, non torno a casa sua da 8 anni, da quando scoppiò la guerra nel Donbass. E nemmeno io riesco ad aiutarla. Ci parlo ogni tanto al telefono, mi ha detto: «Sono nata quando scoppiava la Seconda guerra mondiale e adesso che sono vecchia mi tocca assistere a un'altra guerra».

In Italia si discute molto sull’invio di armi alla resistenza ucraina. Come giudica questo dibattito?

Rispetto ogni posizione. Certo, noi ucraini siamo una forte nazione, un forte popolo, amiamo la vita e vogliamo vivere. Conosco atleti come il biathleta Pidruchnyi, che insieme ai suoi compagni ha preso le armi ed è andato a combattere. Non ci sentiamo soli, l’intero movimento olimpico è con Kiev., questa attenzione è molto importante per noi. Non dimenticheremo mai quello che state facendo, se stiamo assieme vinceremo. Ringrazio ogni singolo italiano. Da atleta sapevo quanto fosse importante ogni singolo centimetro, oggi so quanto vale ogni singolo gesto.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: