venerdì 25 giugno 2021
Prima della lettura del verdetto, per la prima volta l’ex poliziotto Derek Chauvin ha fatto le condoglianze alla famiglia
Un murale dedicato a George Floyd a New York

Un murale dedicato a George Floyd a New York - Ansa/Epa

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Derek Chauvin è stato condannato a passare anni 22 anni e mezzo dietro le sbarre per aver ucciso George Floyd premendogli un ginocchio sul collo per 9 minuti e mezzo. Il giudice Peter Cahill, a Minneapolis, si è attenuto a quanto previsto dalla legge del Minnesota per un incensurato. La sentenza massima possibile, chiesta dalla famiglia della vittima, era di 40 anni. Qualche ora prima lo stesso giudice aveva negato la richiesta di un nuovo processo per l’ex agente, che ieri ha preso la parola in aula per la prima volta per offrire le sue condoglianze alla famiglia di Floyd.

Cahill ha spiegato che ad aggravare il reato è stato il fatto che il poliziotto ha abusato di una posizione di autorità e trattato Floyd con particolare crudeltà e che bambini erano presenti durante il reato. Ha poi aggiunto che la sue decisione non è stata basata su «emozioni o l’opinione pubblica o il desiderio di mandare un messaggio».

Lo scorso aprile, una giuria aveva dichiarato Chauvin colpevole di omicidio colposo, omicidio preterintenzionale e omicidio di terzo grado, dopo aver assistito innumerevoli volte al video straziante degli ultimi istanti di Floyd.

Erano state quelle immagini a convincere i 12 giurati che la morte del 45enne non era stata il risultato di cattive condizioni di salute o di droga, come aveva sostenuto la difesa. «Credete ai vostri occhi», aveva ripetuto il pm chiedendo 30 anni.

Il verdetto era stato sorprendente, poiché le condanne di poliziotti sono rare negli Usa: negli ultimi quindici anni solo il 16% degli agenti che hanno ucciso in servizio sono stati incriminati. Di quelli solo un terzo sono stati ritenuti colpevoli.

Il 25 maggio 2020, la polizia di Minneapolis rispose a una chiamata su una possibile banconota da 20 dollari contraffatta e arrestò un uomo di colore, che finì ammanettato a terra e poi morto in ospedale.

Esattamente 13 mesi dopo, gli Stati Uniti chiudono il capitolo della giustizia per una morte assurda, ma non certo quello della violenza e della discriminazione della polizia americana. Quel «razzismo sistemico» che fa in modo che negli Stati Uniti un nero su mille perda la vita per mano di un agente in divisa. Nonostante la condanna di Chauvin, la strada è ancora lunga e l’ostilità verso gli afroamericani è radicata nel Paese.

Ieri, una statua di Floyd eretta sabato scorso a Brooklyn è stata vandalizzata da un gruppo neonazista. Gli agenti hanno spiegato che la scultura, alta quasi due metri, è stata imbrattata di vernice dal gruppo di estrema destra «Patriot Front».

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