giovedì 27 maggio 2021
Nel 1990 il Paese scivolò verso guerra civile. Parigi fece scelte sempre favorevoli al campo degli hutu. Una condotta interpretata oggi in chiave geopolitica: per consolidare la zona di influenza
Un'immagine d'archivio del 17 luglio 1994: una giovane rifugiata ruandese cerca i corpi dei propri congiunti nel campo di Goma

Un'immagine d'archivio del 17 luglio 1994: una giovane rifugiata ruandese cerca i corpi dei propri congiunti nel campo di Goma - Archivio

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Prima, durante e dopo il genocidio del 1994, la Francia del presidente François Mitterrand condusse in Ruanda una politica favorevole al campo degli hutu, responsabili dei massacri. Per gli storici che hanno potuto consultare gli archivi, è ormai un punto assodato nella ricostruzione di quella drammatica congiuntura.
Nell’ottobre 1990, il Ruanda scivola in una situazione d’aperta guerra civile. A partire dall’Uganda, il Fronte patriottico ruandese (Fpr), milizia d’esuli tutsi guidati da Paul Kagame, l’attuale presidente, lancia un’offensiva contro il presidente Juvénal Habyarimana, che chiede aiuto a Francia e Belgio. Nel volgere di pochi giorni, Parigi lancia la missione Noroît, concepita ufficialmente per proteggere l’Ambasciata francese e permettere l’evacuazione dei cittadini transalpini, ma utilizzata di fatto anche per offrire sostegno ad Habyarimana.
Nell’agosto 1993, vengono firmati gli accordi di pace di Arusha, che prevedono l’arrivo dei caschi blu Onu della Minuar, incaricati di far rispettare la tregua. L’esercito francese è obbligato a lasciare il Ruanda, ma alcune decine d’assistenti militari resteranno. Sullo sfondo, il legame politico fra Mitterrand e Habyarimana non s’interrompe.
Il 6 aprile 1994, viene abbattuto l’aereo con a bordo Habyarimana. La sua morte scatenerà un’accelerazione spaventosa dei massacri contro la minoranza tutsi da parte dell’esecutivo d’estremisti che mantiene il potere a Kigali.
A fine giugno, con l’avallo dell’Onu, la Francia entra di nuovo in azione organizzando il dispiegamento di 2.550 effettivi nel quadro dell’operazione Turquoise, al fianco di 500 altri soldati provenienti da 7 Paesi africani. Ufficialmente, il mandato è di “mettere fine ai massacri ovunque ciò sia possibile, utilizzando eventualmente la forza”. Ma ancora una volta, la “stretta neutralità” a cui è formalmente tenuta la missione sarà ben presto contraddetta dai fatti. Nel mese di luglio, ad esempio, si registreranno scontri fra effettivi di Turquoise e l’Fpr di Kagame.
Inoltre, sullo sfondo dell’avanzata militare di quest’ultimo, la cosiddetta “zona umanitaria sicura” controllata da Turquoise serve da rifugio per gli estremisti hutu governativi in fuga e pronti a riparare oltre la frontiera congolose.
Per gestire la crisi, Mitterrand, già gravemente malato e giunto quasi al termine del suo secondo settennato, si circondò di alti ufficiali, come il generale Christian Quesnot (consigliere presidenziale), l’ammiraglio Jacques Lanxade (capo di stato maggiore dell’esercito) e il colonnello Jean-Pierre Huchon, responsabile della cooperazione militare. Molti documenti provano che Parigi favorì di fatto costantemente i vertici dell’esercito regolare ruandese, addestrato proprio da militari francesi, e gli estremisti hutu. La fuga dei responsabili hutu del genocidio non venne ostacolata dalle forze francesi. Una condotta interpretata oggi prevalentemente in chiave geopolitica: Parigi cercò di mantenere a ogni costo il Ruanda nella propria zona d’influenza. La stessa linea politica tenuta in altre aree africane.
Esistono prove d’un tentativo francese di fornitura d’armi al governo hutu nel gennaio 1994, pochi mesi prima dello scoppio del genocidio. Un’operazione bloccata dalle Nazioni Unite, in nome degli accordi di Arusha e della smilitarizzazione di Kigali.
A proposito della condotta francese, restano zone d’ombra residue riguardo al ruolo preciso tenuto durante la fase di svolta attorno all’attentato del 6 aprile contro Habyarimana. E non è ancora chiaro se successivamente vi furono elementi francesi che sostennero attivamente il regime che riuscì per mesi a mantenere il controllo di Kigali, contro l’avanzata militare dell’Fpr.

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