sabato 25 agosto 2012
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Non se ne parla più, ma l’Aids c’è. Nel mondo 34 milioni di persone hanno contratto il virus Hiv (il 95 per cento è concentrato nei Paesi in via di sviluppo); ogni anno la cifra cresce di due milioni e 700 mila infettati e muoiono un milione e settecentomila persone. Se ne parla però al Meeting dove viene presentato un progetto dell’Avsi in Uganda (uno dei tanti) per ridurre il contagio verticale mamma-bambino al momento del parto. La Chiesa è mobilitata: il 50 per cento dei presidi ospedalieri in questi Paesi è gestito da congregazioni religiose e missionarie. L’Italia ha svolto un ruolo importante, ma adesso è il momento di stringere i cordoni. Purtroppo. L’amarezza è di Elisabetta Belloni, direttore generale per la Cooperazione e allo Sviluppo del ministero degli Esteri. «Il nostro Paese – dice – dopo aver contribuito al Fondo Globale con un miliardo di dollari adesso deve recedere perché per la crisi non potrà far fronte agli impegni presi». Batte cassa. Alberto Piatti, il segretario generale dell’Avsi, che l’ha presentata al Meeting, le viene incontro: «Spero che Monti si metta la mano sul cuore e si commuova». Belloni ipotizza nuove strategie: «Una lotta seria al virus Hiv – dice – non può prescindere dal rafforzamento del sistema sanitario dei Paesi in via di sviluppo più colpiti dal flagello». Carlo Federico Perno, virologo all’università romana di Tor Vergata, dopo aver spiegato il meccanismo di diffusione del virus, si sofferma su una causa psicologica comportamentale che continua a favorire la diffusione dell’Hiv: «Prevale un approccio positivista ai farmaci – spiega – che aumenta la propensione ai rapporti a rischio. Tanto, c’è il farmaco! Invece ci si ammala nonostante i farmaci. Bisogna agire sui comportamenti: solo così è possibile controllare l’evoluzione della malattia». Alla discussione partecipa Gregg Alton, vive presidente della Gilead, la casa farmaceutica californiana impegnata nella ricerca di cure contro il virus. Secondo le sue stime, nei Paesi in via di sviluppo, le persone in cura sono otto milione. Occorre fare di più, ma qui si pone il problema dell’accesso ai farmaci. La Gilead dal 2003 ha promosso un “programma d’accesso”: «In pratica – spiega Alton – consentiamo alle aziende locali di lavorare con licenze per produrre farmaci generici corrispondenti ai nostri prodotti. In questo modo i prezzi calano del settanta per cento». La casa californiana con la Chiesa italiana ha anche avviato in Tanzania un programma che consente di curare circa 20 mila persone. L’Onu ha una sua agenzia contro l’infezione, l’Unaids: a Rimini è rappresentata da Paul De Lay che cita il cardinale Tarcisio Bertone quando avvertiva che chi salva la madre e il bambino dall’Aids salva tutto il mondo. Contro il virus, naturalmente l’Oms. Luis Gomes Sambo, responsabile per l’Africa, insiste sul contagio verticale che deve essere interrotto: «L’intervento farmacologico – dice – si sta rivelando più efficace rispetto al passato». Il problema è tutto qui: dare il farmaco necessario anche a quelli che non potrebbero permetterselo.
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