mercoledì 2 gennaio 2019
L’ex capitano 63enne è il 38esimo presidente, il primo esponente dell’ultradestra a insediarsi al Planalto
Il neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro e la moglie Michelle (Ansa)

Il neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro e la moglie Michelle (Ansa)

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C'erano il sole, un bagno di folla, arrivata dai quattro angoli del Paese e un’aspettativa febbrile. Proprio come tredici anni fa. Per il resto, tutto è cambiato in Brasile. A cominciare dal clima politico. Tanto che i due eventi sembrano l’uno la nemesi dell’altro. Il Capodanno 2003, a giurare di fronte al Congresso, prima di ricevere la fascia dal predecessore Fernando Henrique Cardoso, fu Luiz Inácio Lula da Silva, il primo leader di centrosinistra entrato a Palazzo di Planalto con lo slogan del «cambiamento».

Ieri è stato il suo più accanito nemico, Jair Bolsonaro, a salire al potere, anch’egli con il motto del «cambiamento» declinato, tuttavia, nella variante, dal retrogusto trumpiano, «il Brasile prima di tutto, Dio prima di tutti». Con queste parole, l’ex capitano 63enne ha concluso il discorso inaugurale da 38esimo presidente, il primo esponente dell’ultradestra a insediarsi al Planalto. Non sorprende che abbia incassato le immediate congratulazioni del capo della Casa Bianca. «Un grande discorso. Gli Usa sono con Te», ha twittato Donald Trump. «Insieme, sotto la protezione di Dio, porteremo prosperità e progresso», ha replicato, in tempo reale, Bolsonaro. Fin dalla campagna, quest’ultimo ha detto di voler rinsaldare l’asse con Washington, indebolito durante l’era di Lula e del suo del Partido dos trabalhadores (Pt) in favore di alleanze “Sud-Sud”.

Eppure questo non è bastato per portare Trump oltre il Rio Bravo: al suo posto ha inviato il segretario di Stato, Mike Pompeo che ha partecipato alla cerimonia insieme a una decina di leader, in buona parte del Continente, oltre al premier israeliano Netanyahu.

Per la cerimonia – articolata in due fasi: giuramento e discorso al Congresso, poi un nuovo intervento a Planalto –, Bolsonaro ha rispolverato i toni accesi della campagna elettorale, attaccando frontalmente la «deriva ideologica», l’«inversione dei valori», il «politicamente corretto».

«Celebriamo il giorno in cui il popolo ha iniziato a liberarsi dal socialismo», ha detto appena entrato a al Palazzo sede dell’esecutivo. Poi ha ripetuto i suoi cavalli di battaglia: lotta al crimine, alla corruzione, «all’ideologia di genere» e «a quella che difende i criminali e criminalizza le forze dell’ordine», «diritto all’autodifesa» per tutti i cittadini, meritocrazia, riduzione dei costi, rigore nei conti e efficienza.

In particolare, Bolsonaro ha giocato la carta dell’anti-politica, sottolineando l’importanza di aver messo insieme un «governo alieno dalle dispute partitiche», capace di «garantire l’ordine» dentro e fuori. In effetti, nell’esecutivo che oggi entra in funzione predominano le figure tecniche, tra cui sette militari, un inedito dalla fine dell’ultima dittatura, per la quale, per altro, il presidente ha più volte dichiarato la propria ammirazione. Proprio per tranquillizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale, ieri, il leader ha ribadito fedeltà alla Costituzione e l’impegno per la difesa delle istituzioni democratiche.

Al termine dell’evento, Bolsonaro non ha rinunciato a uno dei suoi “colpi di teatro”: nell’abbracciare la «nostra amata bandiera», ha scandito: «Sarà rossa solo se sarà necessario versare il nostro sangue».

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