mercoledì 10 aprile 2024
Il presidente americano ha risposto a una domanda del giornalista. La richiesta, bocciata in passato, è stata rinnovata dall'Australia. A Londra il processo sull'estradizione è stato rinviato
Attivisti davanti all'alta Corte di Londra manifestano in favore di Julian Assange

Attivisti davanti all'alta Corte di Londra manifestano in favore di Julian Assange - Ansa

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"La stiamo valutando". Così Joe Biden ha risposto, durante la cerimonia con cui ha accolto il premier giapponese Fumio Kishida, alla domanda urlata da un giornalista riguardo alla richiesta dell'Australia agli Stati Uniti di mettere fine all'azione penale nei confronti di Julian Assange, secondo quanto riferisce il pool della Casa Bianca.
Quando la questione era stata sollevata, la scorsa estate, durante una riunione dei ministri Esteri e Difesa dei due Paesi, gli Stati Uniti non l'avevano accolta, sostenendo, era stato riportato allora, che il fondatore di Wikileaks, diffondendo i documenti segreti relativi alle guerra in Afghanistan e in Iraq, aveva rischiato di provocare danni molto gravi alla sicurezza nazionale Usa.

L’ipotesi di una trattativa in corso tra i legali del giornalista e il dipartimento di Giustizia Usa era già emersa alla vigilia dell’ultima udienza all’Alta Corte di Londra sull’estradizione, conclusasi con un aggiornamento al 20 maggio per decide se concedere o meno un nuovo appello. Mentre domani saranno cinque anni esatti trascorsi dietro le mura del carcere di sicurezza londinese di Belmarsh, senza una condanna alle spalle.

Ricorso, quello londinese, che diventerebbe del resto superfluo se gli Stati Uniti dovessero alla fine decidere di far cadere il dossier. Liberandosi da un imbarazzo che rischia di proiettare qualche ombra persino sulle rivincita presidenziale di novembre fra Biden e Donald Trump. Ma anche venendo incontro alle pressioni crescenti del governo di un Paese amico come l'Australia, alleato strategico di Washington sia nel gruppo dei Five Eyes (comunità d'intelligence dell'anglosfera di cui fanno parte pure Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda), sia sul fronte dell'escalation della tensione geopolitica nel Pacifico con la Cina.
Interpellato sulle più recenti sollecitazioni rimbalzate al riguardo da Canberra, dove da due anni è al potere il progressista Anthony Albanese, il leader della Casa Bianca non si è in realtà sbilanciato oltre misura. Ma non ha nemmeno chiuso la porta alla prospettiva d'una sorta di atto di clemenza: "We're considering it", ha tagliato corto, lasciando intendere per la prima volta non soltanto di non escludere nulla (assieme al suo staff), ma di stare - appunto - "pensandoci".
Un accenno su cui i sostenitori di Assange - dalla moglie Stella Morris, ai compagni di WikiLeaks, agli esponenti politici internazionali, attivisti dei diritti civili ed esperti dell'Onu che giudicano l'indagine contro di lui alla stregua di un pericoloso precedente se non di una persecuzione politica non troppo dissimile da quella subita in Russia da Alexeij Navalny - restano per ora molto cauti. E prevalentemente taciturni. Ma che, salvo conferme, potrebbe preludere a un qualche progresso concreto rispetto all'ipotetico negoziato evocato il mese scorso dalla stampa statunitense sull'idea di un patteggiamento stando al quale Julian si dovrebbe piegare a dichiararsi colpevole del reato minore di cattiva gestione d'informazioni classificate per evitare la mannaia della legge sullo spionaggio (la cui pena massima rischia di essere sulla carta l'ergastolo). E ottenere in questo modo la libertà immediata, visti gli anni di reclusione preventiva già scontati a Londra.
Kristinn Hrafnsson, il giornalista d'inchiesta islandese che ha ereditato da Assange la guida di WikiLeaks, ha ribadito d'altronde oggi stesso, a margine di un nuova manifestazione organizzata in vista del quinto anniversario di carcerazione del reprobo che l'auspicio rimane quello di "una soluzione politica", dopo "5 anni di galera eccessivi e brutali". Soluzione che solo Joe Biden può oggi assicurare.


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