sabato 6 aprile 2013
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L'ultimo «post» sul suo blog è del 23 marzo: «Silenzio, si muore», proprio come il titolo del reportage sperimentale che ha portato Amedeo Ricucci, insieme alla sua squadra di reporter ormai collaudata, nel Nord della Siria, dove i quattro giornalisti italiani sono stati sequestrati ieri sera da un gruppo di ribelli. Racconta «storie», da più di vent'anni, Ricucci. Così si presenta sulle pagine del suo blog, che s'intitola Ferrivecchi. Sono quelli del «mestiere», i ferri vecchi - spiega il giornalista Rai - la curiosità, l’onestà, la passione, la competenza, il rispetto degli altri e l’etica del vero servizio pubblico. Per me il giornalismo si fa così». La passione lo ha portato all'ultima sfida in corso, quella che illustra proprio nel commento postato per la missione in Siria: in quel Paese si sta consumando, scrive, «una tragedia infinita nell’indifferenza delle cancellerie occidentali e dell’opinione pubblica internazionale. Raccontarla andando sul posto non è facile, come dimostra l’alto tributo di sangue già pagato dai giornalisti e dagli operatori dell’informazione che in questi due anni hanno provato a farlo». Dall'esigenza di «raccontare la tragedia siriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo partecipe», grazie soprattutto ai nuovi media è nato il progetto «Silenzio, si muore» primo esperimento Rai (e italiano), spiega lo stesso Ricucci,  di «giornalismo partecipativo» A decidere il percorso di viaggio in Siria, le notizie da seguire e le storie da raccontare, è stato un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena, collegati costantemente con il giornalisra via Skype. Un esperimento che vuole «annullare la distanza», non un videogioco, è lo stesso Ricucci a sottolineare. Che all'idea di questa «open community», una comunità aperta che grazie ai social network può dare il suo contributo alla creazione del reportage, gli è venuta dalla lunga esperienza sul campo, passata attraverso i servizi di Professione Reporter, Mixer  e Tg 1, fino ad approdare alla Storia siamo noi di Minoli, con documentari dal Medio Oriente, dal Nord Africa dall'ex Unione Sovietica.«Onesta, umiltà, passione, competenza, interazione e trasparenza - ha postato Ricucci prima di partire per la Siria - sono secondo me i presupposti per costruire un nuovo patto di fiducia fra giornalismo e pubblica opinione nell’era della Rete e dei social network. Non c’è altra via per recuperare la credibilità di un mestiere che sembra aver perso l’anima, oltre che la bussola, e si dimostra sempre più incapace di intercettare le esigenze reali dei suoi  ”editori di riferimento”, quelli veri, che sono i lettori o i radio-tele-spettatori, al cui servizio noi giornalisti dovremmo  porci, sempre»«E anche se siamo nell’era del digitale, dei social network e del real time - è la filosofia di Ricucci - io in tasca mi porto sempre i miei ferri vecchi. Pesano, sì, ma aiutano a risolvere le situazioni più difficili».
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