sabato 12 marzo 2022
Nell’unico grande centro finora occupato dalle truppe nemiche, si vive nella paura costante: «I soldati controllano tutto, ci sono persone che scompaiono»
Un ordigno inesploso

Un ordigno inesploso - Ansa

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«Si comportano in maniera imprevedibile, le truppe russe qui in città. Per questo la popolazione è sempre in allarme, al limite della tensione. Circolare per le strade è pericoloso. Controllano tutto, portano via i cellulari, ci sono persone che scompaiono. Con i soldati russi non abbiamo contatti, viviamo separati, a distanza». Oleksiy B., 37 anni, a capo di diverse società di trasporto e commercio all’ingrosso, comunica al telefono da Kherson, finora l’unica grande città ucraina occupata dalle truppe della Federazione Russa. Costituisce il primo tassello conquistato di un corridoio a cui Mosca sembra puntare a tutti i costi, quello lungo l’intera fascia costiera ucraina sul Mar Nero.

Dopo giorni di durissimi scontri, che secondo il sindaco avrebbe causato più di 300 morti, il 1° marzo i carri armati di Mosca sono riusciti a piazzarsi da padroni nel centro città. Quando ancora era possibile, Oleksiy B. ha fatto evacuare moglie, figli e suocera nella città di Chernivtsi, nell’Ucraina occidentale, al confine con la Romania. A Kherson, cerca di rendersi utile con alimenti e medicinali per i concittadini più anziani. «La maggior parte delle persone aspetta tre o quattro ore in coda per il cibo, ma fa terribilmente freddo, e comunque restare fuori è rischioso».

Conferma il disorientamento e la difficoltà di capire fino a che punto ci si possa spingere nei movimenti della vita quotidiana anche Irina N., 40 anni, di professione bancaria. «A volte le truppe russe si comportano in modo aggressivo senza motivo, e sparano. Altre volte no. Non permettono di uscire dalla città, né lasciano entrare i rifornimenti umanitari. La dirigenza regionale ha condotto giorni di trattative, tutte infruttuose, non cambia niente».

I funerali di tre giovani soldati morti nella battaglia di Khersov

I funerali di tre giovani soldati morti nella battaglia di Khersov - Ansa

Se girare per Kherson non è una buona idea, «per il cibo, però, bisogna pur uscire. I negozi sono per lo più chiusi. Restano aperti piccoli punti vendita con la merce che è rimasta. Nei giorni scorsi i prodotti sono stati dati gratis, perché gli occupanti ne fanno razzia, dunque i negozianti hanno cercato di distribuire ai residenti ciò che sarebbe stato comunque rubato». La coabitazione forzata con i russi che «si muovono su mezzi corazzati e altri veicoli su cui campeggia la lettera Z» spaventa e turba, eppure un gruppo di cittadini non ha smesso di presentarsi in piazza per protestare, proprio come era accaduto una settimana fa, il 5 marzo.

Video trasmessi in diretta dalla piazza centrale, quel sabato, erano rimbalzati in tutta l’Ucraina e sulla stampa internazionale. I manifestanti sventolavano bandiere giallo-azzurre, «Kherson è Ucraina» dicevano gli slogan. «Ogni giorno si tiene una manifestazione pacifica con cui si chiede ai russi di lasciare la città», prosegue Irina N. «Si sta cercando di spingerli pacificamente ad andare via». Se la protesta prosegue quotidiana, la novità è quella di un’ondata di arresti (sarebbero stati 400 solo il 9 marzo), prova che le operazioni per contenere il dissenso sono state avviate.

La presa militare della città, intanto, non garantisce che le armi tacciano: sia Irina che Oleksiy confermano che, soprattutto di notte, ancora si sente il fragore di colpi, «nelle zone remote della città». Non è finita, insomma, e comunque la popolazione è ancora sotto choc, con le scene degli scontri feroci d’inizio marzo negli occhi. «Ho visto i corpi di due persone uccise dalle schegge di un ordigno in un cortile», conclude Irina. «Un uomo è stato fatto a pezzi. Aveva lasciato il rifugio perché la moglie incinta era rimasta senza acqua».

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