sabato 17 giugno 2017
Il presidente confessa di essere sotto inchiesta come il genero Kushner. E dalla Florida annuncia una "rivoluzione" su Cuba e sui baby migranti. Riesplode di nuovo il conflitto d'interessi
Il presidente Trump ieri ha annunciato il con+gelamento dei rapporti commerciali con Cuba (Ansa)

Il presidente Trump ieri ha annunciato il con+gelamento dei rapporti commerciali con Cuba (Ansa)

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Da quando è arrivato alla Casa Bianca, Donald Trump si è dimesso da ben cinquecento società. Tuttavia queste compagnie stanno producendo milioni di dollari di cui beneficia un fondo aperto appositamente. Lo evidenzia un rapporto di 98 pagine, rilasciato nella serata di ieri dall'Ufficio etico federale americano e visionato preventivamente anche dalla Casa Bianca. Il documento prende in esame il periodo che va da gennaio 2016 ad oggi e mostra come la vittoria elettorale abbia beneficiato le attività che fanno capo alla famiglia Trump. Innanzitutto il resort di Mar-a-Lago, a Palm Beach in Florida, i cui introiti sono lievitati da 29,8 milioni di dollari a 37,3. Quella che il presidente ha ribattezzato la "Casa Bianca invernale", ha anche raddoppiato la quota di iscrizione per i soci che è arrivata a ben 200mila dollari all'anno. gli affari vanno bene anche nella capitale. Il Trump International Hotel di Washington, inaugurato proprio durante la campagna elettorale, ha già fruttato quasi venti milioni di dollari. La struttura, ricordano i media Usa, è attualmente al centro di una battaglia legale sulla "emoluments clause" della Costituzione americana che vieta ai funzionari del governo federale di accettare pagamenti o regali senza l'approvazione del Congresso.

Intanto, Donald Trump ammette di essere indagato per intralcio alla giustizia, ma attacca i suoi accusatori, screditando lo stesso viceministro al quale aveva chiesto di fargli da scudo nel licenziamento del direttore del Fbi. L’inchiesta nel Russiagate però non si ferma, e si allarga al genero-consigliere del presidente per i suoi affari con Mosca. Né un parziale cambio di direzione su Cuba né una grossa concessione ai giovani immigrati senza documenti è bastato dunque a dirottare l’attenzione dei media dai guai legali della Casa Bianca.


«Sono stato messo sotto indagine per aver licenziato il direttore del Fbi (James Comey, ndr) dall’uomo che mi ha detto di licenziare il direttore del Fbi (il vicesegretario alla Giustizia, Rod Rosenstein, ndr)! Caccia alle streghe». È su Twitter che il tycoon ha confermato le indiscrezioni di stampa, lanciate per primo dal Washington Post, di essere finito nel dossier del procuratore speciale Robert Mueller e del dipartimento alla Giustizia. La clamorosa ammissione ha suscitato una valanga di reazioni, quasi quanto il tentativo di puntare il dito contro Rosenstein, che pure aveva fornito gli argomenti legali per il siluramento di Comey. E mentre sente la sua poltrona traballare (o forse proprio per questo), il numero due alla Giustizia sta meditando di ricusarsi dall’inchiesta sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016 e sulle possibili collusioni di Trump con il Cremlino. In questo caso gli subentrerebbe il numero tre del ministero (il segretario alla Giustizia, Jeff Sessions, ha già dovuto fare un passo indietro perché anche lui è sospettato di legami con la Russia), Rachel Brand.

Intanto però Trump sembra l’unico, alla Casa Bianca, a prendere il progredire dell’indagine alla leggera e con arroganza. Il marito di Ivanka Trump, Jared Kushner, ha adottato un profilo bassissimo e di cooperazione con le autorità da quando ha appreso che Mueller starebbe indagando anche sulle sue attività finanziarie e imprenditoriali. E il vice presidente Mike Pence è corso preventivamente ai ripari assumendo un avvocato penalista. Per Trump, però, si tratta sempre di «notizie false», che a suo dire i media diffondono per invidia nei confronti del seguito del tycoon sui social media, che li esclude. «Dopo 7 mesi di indagini e audizioni delle commissioni sulla mia “collusione con i russi”, nessuno è stato capace di mostrare alcuna prova. Triste!», è stato l’ultimo “cinguettio” sulla questione di Trump, prima che si dedicasse ad altro, in particolare all’annuncio di un cambio nella politica nei confronti di Cuba.

«Diamo più potere ai cubani e rendiamo il regime responsabile delle sue azioni», ha twittato il presidente americano, chiedendo all’Avana la liberazione dei prigionieri politici e una maggiore partecipazione democratica mentre ritirava alcune delle concessioni fatte negli ultimi due anni. Se l’Amministrazione repubblicana manterrà aperta l’ambasciata a Cuba, d’ora in poi renderà impossibile per le aziende Usa fare affari con entità cubane legate all’apparato militare dell’isola, che controlla l’industria del turismo. Un colpo basso per gli hotel che avevano già stretto accordi commerciali sulla scia della distensione lanciata nel 2015 da Obama. E per i turisti americani, che avevano goduto negli ultimi due anni di un rilassamento sostanziale del divieto di viaggio sull’isola. Ristabilito con forza anche il vecchio divieto per la maggior parte dei commerci. «È difficile pensare a una politica meno sensata di quella adottata da Obama, che ha firmato un accordo terribile e sbagliato con il regime di Castro», ha sostenuto Trump da Miami, applaudito dagli esuli cubani. Il capo della Casa Bianca ieri ha fatto anche un altro dietrofront ancora più radicale, sui cosiddetti “dreamer”, permettendo agli immigrati senza documenti entrati negli Stati Uniti di rimanere nel Paese. La decisione segna un allontanamento dalla retorica anti-immigrati che è stata una delle cifre principali, e vincenti, della campagna elettorale di Trump. Una volta arrivato alla Casa Bianca, però, il miliardario si è dovuto rendere conto del rischio politico di un’azione verso persone che hanno frequentato solo scuole Usa e che sono viste con simpatia dagli elettori perché incarnano il sogno americano. Nessuno stop invece alle espulsioni dei genitori dei dreamer, che invece l’Amministrazione Obama aveva tentato di proteggere dai rimpatri forzati.

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