mercoledì 13 dicembre 2023
Le pubblicità che incoraggiavano i clienti a non comprare hanno avviato un dibattito su un nuovo modello di sviluppo possibile
Una terza via tra decrescita e iperconsumismo: la Francia ci prova
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Le ragioni del green friday potranno mai scalzare la rodata logica del black friday? Da quando la “generazione Greta Thunberg” si è messa in marcia scegliendo il venerdì come momento settimanale simbolico per nutrire le speranze di un pianeta abitato in futuro in modo sostenibile, non è di certo sfuggita la cacofonia semantica fra il movimento dei Fridays for future e l’appuntamento prenatalizio annuale per eccellenza del “turboconsumismo”: proprio il black friday che da lustri si è ormai propagato dai centri commerciali americani verso gli altri continenti. Questa cacofonia sottintende un bivio: o da una parte, o dall’altra. Ma finora, a differenza di tanti autori e saggisti impegnati, i governi avevano sempre più o meno glissato sull’aut aut fra la via della sobrietà e quella dell’espansione continua della sfera degli acquisti di beni materiali.

Attraverso un’inedita campagna pubblicitaria finanziata dall’alto, il tabù è stato in parte appena infranto in Francia, Paese dove i vertici governativi non hanno sempre dimostrato in materia una coerenza imparabile o nitida: da una parte, la Francia che sostiene anche diplomaticamente i propri “campioni” transnazionali del commercio, dai colossi della grande distribuzione come Carrefour a quelli del lusso come Lvmh; dall’altra, un Paese che, soprattutto nell’era del presidente Emmanuel Macron, ha cercato d’illustrarsi come capofila della diplomazia climatica e, sul piano interno, sperimentando originali programmi pubblici per promuovere l’economia circolare, come la recente pioggia di sussidi di Stato per far riparare un po’ di tutto: dalle suole delle vecchie scarpe alla lavatrice, passando per la bicicletta per andare a lavorare. In questa congiuntura, rispetto alla situazione in altri Paesi, i poteri ministeriali e le agenzie di Stato francesi in campo ecologico hanno acquisito un’influenza senza precedenti. Al punto che il loro rango protocollare, nel codificato ordine di preminenza fra portafogli e budget, si è talora persino issato al di sopra di certi palazzi del potere storici di stampo economico, suscitando non poche gelosie.

Rassicurata da questa tendenza istituzionale di fondo favorevole, una delle principali agenzie di Stato, l’Ademe, specializzata nella “transizione ecologica”, ha pensato quest’anno che i tempi erano finalmente maturi per sferrare un colpo d’ariete simbolico senza complessi alla logica del black friday: proprio attraverso una campagna pubblicitaria, pagata dal pubblico erario, per promuovere il modello virtuoso di un sobrio green friday, come alternativa auspicabile al venerdì (prolungato) commerciale di più scura colorazione. Con ironia, giocando sui codici delle interazioni tradizionali fra punto vendita e cliente, i quattro spot della campagna pubblicitaria dell’Ademe mettono in scena un “controvenditore” che incita i clienti a non comprare un vestito nuovo, a noleggiare semplicemente una smerigliatrice, a orientarsi verso il mercato dei cellulari ricondizionati, a chiamare un riparatore al posto di gettare via la lavatrice guasta. Proprio l’opposto della cultura della corsa verso i supersconti sensazionali del black friday e del loro corollario per gli acquirenti più pigri: quei milioni di pacchetti, avvolti da strati su strati protettivi, consegnati a casa da fattorini sottoposti spesso a condizioni contrattuali non proprio invidiabili.

Già per il suo valore simbolico, più che per l’eventuale capacità reale di contrastare il ciclone black friday, l’iniziativa dell’Ademe è stata subito lodata da molte associazioni ambientaliste. Sul fronte cattolico, ha espresso soddisfazione in particolare Lucile Schmid, fondatrice dell’organizzazione non governativa “La Fabbrica ecologica” ed editorialista per La Croix, su cui ha pubblicato un commento dal titolo esplicito: « Ademe, finalmente una bussola verde!». Per lei, l’agenzia «mostra che spetta allo Stato e alle istituzioni pubbliche d’inventare la loro bussola ecologica e poi di rispettarla ». Ma il fatto d’aver osteggiato e un po’ irriso il modello dei picchi “teleguidati” di consumi di fine anno ha pure suscitato vaste levate di scudi, a cominciare da quelle di molte federazioni di commercianti. Tanto che una delle voci più influenti del governo, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire (d’originaria estrazione neogollista), sulla principale radio pubblica all news France Info, ha criticato la campagna, definendola «fuori luogo», in quanto «non simpatica» verso i venditori che sembrano sottilmente sbeffeggiati, «anche solo indirettamente».

Altra critica di Le Maire: la campagna è poco rispettosa «soprattutto del commercio fisico che si batte per sopravvivere e che sosteniamo, particolarmente nei centri urbani». Per il ministro dell’Economia, già candidato in passato alle primarie neogolliste per l’Eliseo, gli spot potrebbero persino essere presi come «un modo di far promozione indirettamente al commercio digitale sulle piattaforme». Al contempo, il ministro si è pure preoccupato di non rinnegare la linea ufficiale ecologica dell’era Macron: «Credo profondamente alla sobrietà, ma senza prendere i venditori e i commercianti fisici come bersaglio e colpevolizzandoli». Nonostante questa precisazione finale, le critiche di Le Maire contro gli spot non sono piaciute al suo collega della Transizione ecologica, Christophe Béchu, che ha invece difeso la campagna dell’Ademe. Sulla radio ammiraglia del servizio pubblico, France Inter, ha assicurato di «sottoscrivere» le scelte dell’agenzia. Per questo, «nessuno spot verrà ritirato», ha aggiunto: «Che lo 0,2% del tempo pubblicitario audiovisivo venga dedicato a chiedersi se tutti gli acquisti sono utili, francamente non mi pare irragionevole, date le poste in gioco della transizione ecologica». Ma alla fine, anche Béchu ha concesso che sarebbe stato meglio «prendere di mira con lo stesso messaggio le piattaforme di vendita digitali, piuttosto che i negozianti fisici».

Le polemiche e le stesse dissonanze all’interno del governo hanno mostrato bene il crinale scivoloso lungo cui avanza Parigi, che rivendica sulla questione «un approccio realista». In altri termini, quando il governo francese parla di «sobrietà», si riferisce ai comportamenti individuali. Per nulla, invece, alla «decrescita» perorata da frange significative del fronte ambientalista. L’obiettivo governativo della transizione ecologica alla francese non è certamente di rinunciare alla crescita del prodotto interno lordo (Pil). La strada auspicata è invece, in sostanza, un’espansione quanto più rapida di due sfere dell’economia: da una parte, tutti i settori della cosiddetta “green economy” in senso stretto, come le energie rinnovabili e i servizi che alimentano l’economia circolare (riparazione, noleggio, riuso); dall’altra, la cosiddetta “economia della vita”, come l’ha recentemente definita, in un saggio, Jacques Attali, l’economista e banchiere già protagonista nei lontani anni Mitterrand, ma ancor oggi fra i principali ispiratori di Macron. Per “economia della vita”, Attali intende tutti quei settori che fanno capo alla conoscenza e agli scambi di servizi vitali e di idee, più che alla produzione e al consumo di beni fisici (talora dalla forte “impronta ecologica”): i settori sanitario, educativo e della formazione, ma anche assicurativo, dell’informazione, della cultura e della consulenza, solo per citarne alcuni.

Attali spinge la sua analisi ancora oltre: « È verso quest’economia della vita che occorre pure riorientare le imprese degli altri settori che, oggi, attendono, a mio avviso invano, il ritorno chimerico ai loro mercati in una forma identica alla pre-pandemia: le imprese automobilistiche, aeronautiche, dei macchinari, della moda, della chimica, della plastica, dell’energia al carbonio, del lusso, del turismo non rivedranno i loro mercati precedenti ». In questo senso, in modo ottimistico, certi osservatori ritengono che il “rumore” suscitato dalla campagna pubblicitaria dell’Ademe finirà per avere effetti positivi anche per lo stesso governo. Perché in effetti, anche in termini di comunicazione, resta irto di difficoltà il cammino per dimostrare le virtù, ma ancor prima la fattibilità, di un modello economico di transizione ecologica del tutto nuovo: una terza via ben diversa tanto dal “turboconsumismo” simbolizzato dal black friday, tanto dalle teorie di quei militanti ambientalisti accodati dietro l’obiettivo di una futura “decrescita”.

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