È stata la prima azienda italiana ed europea a diventare Società benefit. Di più: la sua spinta è stata cruciale per arrivare alla stessa legge che nel 2016 ha fatto dell’Italia il primo Stato sovrano al mondo a introdurre lo status giuridico di Società benefit. Meno di un decennio dopo, le Società benefit in Italia sono oltre 3.600 e molte di esse lo sono diventate proprio grazie a Nativa, realtà che attraverso progetti di consulenza accompagna le aziende, spiega a L’Economia Civile uno dei suoi fondatori, Eric Ezechieli, «ad incorporare la sostenibilità e i concetti di rigenerazione dentro i loro piani strategici e i piani industriali».
Nell’era della transizione ecologica ed energetica, insomma, sempre più aziende riconoscono l’importanza di avere come scopo anche il beneficio comune, al di là del mero profitto: non si può solo distribuire dividendi agli azionisti ma anche creare valore per tutti gli stakeholder. «Ci siamo ritrovati abbastanza presto a intercettare quelle realtà che erano già orientate in questa direzione, ma non sapevano come farlo al loro pieno potenziale – sottolinea Ezechieli –. Oggi lavoriamo con circa 200 aziende in vari Paesi e continenti ». Illycaffè, Chiesi Farmaceutici, Sammontana, Novamont e Assimoco sono solo alcune delle realtà che Nativa ha accompagnato in questi anni in questo percorso. «Nativa nasce dal riconoscere che viviamo in un sistema economico che ha dato un benessere mai visto prima, un sistema che però ha dei limiti e necessita di essere reindirizzato in una direzione che noi definiamo rigenerativa – continua Ezechieli –. Può sembrare “normale” produrre valore e risultati economici a discapito dei sistemi sociali e ambientali. Ma questo, applicato su scala nazionale e globale, come modello unico, non fa altro che accelerare un certo degrado».
Ezechieli fonda Nativa insieme a Paolo Di Cesare guardando all’esperienza Usa, dove già alcuni Stati, come la California, avevano introdotto legislazioni sulle società benefit, società che «mettevano in discussione il paradigma dominante dello sviluppo senza limiti e lo rielaboravano in ottica evolutiva». «Nell’oggetto sociale – ricorda – scrivemmo che lo scopo di Nativa era di contribuire alla rigenerazione dei sistemi ambientali e sociali e accelerare un cambio di paradigma da modelli estrattivi a modelli rigenerativi. Scrivemmo anche che volevamo contribuire alla felicità e al benessere delle persone che lavoravano dentro Nativa. La Camera di commercio di Milano ci respinse quattro volte di seguito perché il codice civile non contemplava qualcosa di diverso dallo scopo di lucro. Ci attivammo quindi direttamente per introdurre in Italia la legge sulle società benefit ».
Dopo un iter abbastanza breve, e grazie all’intervento di un gruppo di esperti, il primo ddl sul tema, il 1882/2015, evolve poi nella legge 28-12-2015 n. 208. « È stato un punto di svolta – nota Ezechieli –. Da lì sono arrivate norme in Francia, Spagna, Paesi dell’America latina e altri ancora: si è innescata una reazione a catena». Tra il 2016 e il 2020 le società benefit in Italia arrivano a circa 400, nei successivi quattro anni si moltiplicano, arrivando già a oltre 3.600 a fine 2023. « Per Nativa le aziende sono compagni di viaggio, c’è una condivisione molto forte degli obiettivi – spiega Ezechieli – . Quando ci contattano c’è un primo allineamento in termini di visione, per capire se c’è l’intenzione di andare in fondo a percorsi che possono attraversare anche parecchi anni. Misuriamo il posizionamento dell’azienda, la sua governance, quanto sia pronta per un passaggio di status giuridico, che è una scelta di campo importante. Poi cerchiamo di capire insieme a vertici e stakeholder dove l’azienda vuole arrivare, qual è il profilo di impatto, di rigenerazione, di sostenibilità desiderato, quale ruolo l’azienda vuole avere nella società, in che modo può creare valore sia per gli shareholder che per gli stakeholder. Infine, costruiamo il percorso necessario a colmare la distanza fino all’obiettivo».
Fanno parte, di questo percorso, anche il processo di recruiting, la formazione, ma anche la modifica dei contratti. « L’ufficio acquisti, ad esempio, definirà degli impact terms, dei vincoli, dei requisiti di obiettivi socio-ambientali da trasferire su tutta la catena di fornitura – sottolinea Ezechieli –. Questo amplifica i risultati sia verso l’esterno che verso l’interno. La vera bussola resta la legge, che richiede di specificare nell’oggetto sociale in che modo si genera l’impatto aziendale, di nominarne i responsabili, di rendicontare come l’impatto è stato prodotto e di dichiarare gli obiettivi futuri. Per questo abbiamo implementato delle piattaforme software specifiche che aiutano a governare questo tipo di processi, come Impacto, un tool che serve proprio a gestire al meglio questo percorso evolutivo», permettendo alle Società benefit di scrivere e monitorare in semplicità, autonomia e in conformità ai requisiti di legge la Relazione di Impatto, il documento che tutte le Società Benefit devono redigere annualmente.
Nel 2022, insieme a Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Nativa ha inoltre lanciato CO2alizione, coinvolgendo ad oggi 89 aziende italiane che hanno deciso di inserire all’interno dello statuto una finalità in favore della neutralità climatica, consentendo loro di fare sistema e condividere soluzioni. Insieme al Comune di Roma è stato poi avviato “Un’Impresa Comune”, con l’obiettivo di fare di Roma, entro il 2030, la «capitale mondiale delle Società benefit». La Fase 1 del progetto coinvolgerà 100 aziende, che avranno accesso, attraverso un programma di incontri specialistici, al percorso di formazione e agli strumenti dedicati al supporto gestionale benefit, per essere poi accompagnate fino all’adozione dello status giuridico di Società benefit. «Ci auguriamo che l’Italia possa ancora più emergere come un laboratorio a livello internazionale, senza contare che le aziende che avviano questi percorsi restano pienamente competitive sul mercato, sono aziende a prova di futuro – conclude Ezechieli –. Nonostante l’aumentare delle tensioni sociali, si crea così un tessuto imprenditoriale più resiliente: occupandoti del tuo ecosistema, il tuo ecosistema si prende cura di te. Si crea, insomma, una vera e propria economia della cura, che ci auspichiamo diventi la normalità».