mercoledì 26 gennaio 2022
Padre Guido Trezzani della diocesi di Almaty nel 1993 ha creato uno spazio che offre casa, lavoro e futuro a decine di giovani orfani, disabili o provenienti da famiglie difficili
Padre Trezzani con alcuni dei bambini ospiti del Villaggio dell’Arca

Padre Trezzani con alcuni dei bambini ospiti del Villaggio dell’Arca

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«La situazione qui in Kazakistan, recentemente sconvolto da imponenti disordini e scontri violenti, è migliorata, ma resta instabile. È anche difficile comprendere cosa sia accaduto, quali forze si siano fronteggiate. Nei giorni più drammatici nessuno di noi si azzardava ad andare in giro, era pericoloso. Restavamo nel villaggio, come ci era stato detto di fare». Sono parole di padre Guido Trezzani, sacerdote incardinato nella diocesi di Almaty (la città più popolosa del Paese). Il villaggio di cui parla è il Villaggio dell’Arca, realtà unica in Kazakistan: una grande famiglia capace di offrire casa, lavoro e futuro a decine di giovani in molti modi provati dalla vita.

Tutto comincia nel 1997 quando padre Guido, residente ad Almaty, inizia a lavorare con un gruppo di volontari negli orfanotrofi cittadini. Tre anni dopo, mosso dal desiderio di assicurare una dimensione familiare alla cura offerta ai piccoli di quegli istituti, decide di fondare – grazie al sostegno di amici italiani – una casa famiglia insieme ad alcuni volontari locali: a Talgar, nelle vicinanze di Almaty, acquista una ex colonia estiva del tempo sovietico che viene opportunamente ristrutturata: nasce così il Villaggio dell’Arca, che dà accoglienza a bambini e ragazzi orfani, disabili o provenienti da famiglie che attraversano momenti di difficoltà. Nel corso degli anni il Villaggio viene ampliato: attualmente si estende su un’area di sei ettari e accoglie mediamente 60 bambini e ragazzi. È composto da abitazioni, scuola, mensa, palestra, parco giochi, laboratori di artigianato, terreni coltivati, serra, centro medico e riabilitativo. Insieme a padre Guido (che dal 2019 è anche direttore della Caritas kazaka) lavorano stabilmente trenta persone cui si aggiungono numerosi volontari locali: «Abbiamo fondato il Villaggio per rispondere al bisogno di famiglia di molti giovani che hanno sofferto», afferma padre Guido, che oggi ha 66 anni. «Il nostro progetto educativo si articola su due capisaldi: il primo è la cura di ogni bambino, che viene seguito, amato e accudito come un figlio. Ci impegniamo per offrire a ciascuno l’affetto incondizionato, la sicurezza e la solidità di una famiglia. Il secondo caposaldo è la dimensione del villaggio: noi adulti lavoriamo insieme mossi da un obiettivo comune: fare il bene di ogni bambino, aiutandolo a crescere, a scoprire e a mettere a frutto le proprie capacità, a costruirsi un futuro buono. Reputo decisiva sul piano educativo questa alleanza tra adulti, aperta al contributo di tutti. Recentemente abbiamo festeggiato il compleanno di uno dei nostri giovani, il quale ha confidato il proprio sogno: lavorare come programmatore. Una volontaria invitata alla festa, quando lo ho sentito, gli ha proposto di svolgere un periodo di praticantato nell’azienda di informatica in cui lavora. È stato il regalo più bello che ha ricevuto».

I bambini e i ragazzi di cui si prende cura padre Guido frequentano gli istituti scolastici statali della zona mentre nella scuola interna del Villaggio hanno la possibilità di seguire alcuni corsi (fra i quali: lingue, informatica, musica). I più grandi possono anche iniziare a imparare un mestiere e a lavorare: sono stati avviati una falegnameria, un progetto agricolo e una serra con la coltivazione e la vendita delle fragole. Vi sono anche due sartorie: una maggiormente dedicata alla formazione, l’altra alla produzione di capi da mettere in commercio. I ragazzi che invece desiderano seguire corsi esterni, partecipare a stage o avviare un’attività in proprio sono accompagnati e sostenuti economicamente. «L’alleanza educativa, di cui parlavo e di cui ha ben scritto papa Francesco in occasione dell’evento intitolato 'Ricostruire il patto educativo globale', va sempre alimentata e ampliata – sottolinea il sacerdote –. Per questo, ad esempio, stringiamo accordi con imprenditori e artigiani locali disposti a offrire buone occasioni di lavoro ai nostri ragazzi. Stiamo anche cercando partner kazaki e italiani con cui avviare un progetto per il riciclo di materiali». Poiché in Kazakistan la società non è ancora pronta ad accogliere serenamente i disabili, ai quali – salvo rare eccezioni – sono preclusi scuole statali e mondo del lavoro, nel Villaggio i bambini e i ragazzi disabili frequentano la scuola interna seguendo un programma formativo proporzionato alle capacità di ciascuno. Possono beneficiare di terapie riabilitative nel centro medico (aperto anche alle persone disabili che vivono nella zona), imparare un mestiere e lavorare insieme agli altri ragazzi nelle attività interne.

«A tutti i nostri giovani – prosegue padre Guido – insieme alle diverse opportunità formative (che cerchiamo sempre di incrementare), proponiamo un cammino per imparare anche un modo diverso di lavorare: desideriamo che possano scoprire l’entusiasmo e la soddisfazione che nascono da un lavoro ben fatto. Questo aspetto è fondamentale: il lavoro è parte essenziale della vita, svolgerlo bene, mettendoci tutto se stessi, fa sentire utili, forti, compiuti». Decine di ragazzi che hanno vissuto al Villaggio sono ormai grandi, lavorano nella zona, hanno messo su casa e famiglia. «Spesso ci vengono a trovare con il coniuge e i figli – conclude padre Guido –: sono felice quando vedo che conducono una vita buona, che lavorano coscienziosamente, che trasmettono ai figli gli insegnamenti appresi qui. Dice un noto proverbio: 'Per educare un bambino serve un villaggio'. Ecco, noi, quel villaggio pieno di affetti e dedizione ci impegniamo ogni giorno a costruirlo».

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