venerdì 17 febbraio 2023
Il grande pensatore francese Latour, partendo dallo studio dei primati, interpreta la società, compresi i comportamenti economici, come una continua interazione anche con oggetti e altre entità
Nessuno sta solo sul cuore della terra: chiedetelo ai babbuini

Jose A Astor @2013

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A lungo, gli economisti hanno considerato gli effetti ambientali dell’industria e delle altre attività produttive in termini di «esternalità»: un versante non trascurabile, certo, ma interpretato comunque come ai margini della società e del progresso. E se invece considerassimo i pesci dei fiumi, l’humus d’un sottobosco, o le stesse perturbazioni atmosferiche come «membri» integranti della nostra società, o almeno delle «associazioni » di fondo che ci fanno avanzare? A prima vista, con le lenti economico-centriche tradizionali, questa concezione potrebbe sembrare balzana. Quasi un’incursione indebita in un fantasioso “Paese delle meraviglie” di carrolliana memoria. Ma in realtà, considerando la società e l’economia come “acquari” rispetto al contesto circostante, i conti non tornano mai.

A interpretare la società come un coacervo di relazioni e associazioni, oppure un sistema di comunicazione fra entità di natura diversa, è tutta una tradizione storicamente un po’ periferica della filosofia e delle scienze umane, fra i cui precursori spiccano giganti come il tedesco Gottfried Leibniz. Nella sociologia odierna, si tratta dell’ispirazione di fondo della cosiddetta Actor-Network Theory, un approccio su cui esce adesso in Italia una brillante esposizione che si deve al grande pensatore francese Bruno Latour, appena scomparso: Riassemblare il sociale (Meltemi), con una prefazione sapiente del geografo Franco Farinelli. A certi lettori di Latour, non sfuggiranno le assonanze di questo tipo di riflessione d’avanguardia con l’enciclica Laudato si’. Perché proprio di interazioni è questione, su un orizzonte vasto, ma in un’ottica sempre umanistica, senza sbandate incontrollate verso un relativismo sterile.

Latour ricorda che concepì l’idea del libro in Kenya, affiancando una specialista della sociologia dei primati, Shirley Strum, che scriveva già nel 1978: «I babbuini erano “gentili” gli uni verso gli altri perché un tale comportamento era altrettanto essenziale alla loro sopravvivenza che l’aria che respiravano o il cibo di cui si nutrivano». In altri termini, i primati agiscono già in termini di reciprocità e di “rete”, cooperando a partire dalla coscienza condivisa d’un orizzonte vasto di risorse. Una concezione capace di contraddire almeno in parte, nel caso della primatologia, la tradizionale visione un po’ rigida dei “ruoli” fra dominanti e dominati nel quadro della concorrenza e della lotta per la sopravvivenza. Da esempi come questo, si dipana l’articolata riflessione di Latour sui moventi di fondo che spiegano le azioni in società, compresi i comportamenti economici. Enfatizzando in particolare l’idea che in realtà «pure gli oggetti partecipano all’azione» umana. Ma in proposito, Latour chiarisce presto che questo non significa affatto scadere in una visione materialistica, perché la Actor-Network Theory non è un tentativo di «riconciliazione» fra i soggetti di un’azione e le cose che divengono gli oggetti.

Le catastrofi, come l’esplosione della navetta spaziale Columbia pochi secondo dopo il decollo, sono per Latour esempi molto lampanti del fatto che gli oggetti e altre entità, viventi e non, “agiscono” assieme a noi. Naturalmente, lo stesso vale per la pandemia da Covid-19: si può davvero escludere il virus aborrito dalla cerchia degli “attori” della nostra società? Esempi come questi, sottolinea Latour, mostrano quanto sia difficile disegnare i confini di una società, dato che i vettori tecnologici, gli agenti patogeni e tanto altro ancora non possono essere a cuor leggero tagliati fuori dal gioco, se davvero si vuol cavare un ragno dal buco. A livello economico, Latour ritiene che quest’approccio sia luminoso per sondare ad esempio il sistema finanziario globale. Anche qui, paradossalmente, le cose diventano un po’ più chiare in presenza di turbolenze e anomalie: «Un computer guasto, il colpo basso d’un concorrente, un risultato imprevisto, una variabile trascurata in una formula di fissazione dei prezzi, una procedura contabile arrischiata: tutto questo può bastare per trasformare un profitto osceno in perdite spettacolari».

I risultati di Wall Street, insomma, dipendono pure da tanti “contorni” imponderabili. Così, a livello economico e sociale, non è per nulla semplice distinguere fra ciò che è locale e ciò che è globale: « Nessun luogo è sufficientemente dominante per essere globale, né abbastanza raccolto su se stesso per essere locale». Pragmaticamente, la riflessione di Latour può essere presa nell’insieme pure come un’esortazione a non limitarsi mai solo a idee, concetti e teorie, ma a restare sempre con le mani in pasta e i piedi incollati al suolo: mostrarsi empirici non per pura “moda” intellettuale, ma perché altrimenti si rischia proprio di non capire più un granché del mondo in cui viviamo. E in proposito, leggendo il volume, il pensiero può volare pure ai consigli dati di recente dal Papa ai giovani partecipanti di "The Economy of Francesco”, circa la necessità di far sempre funzionare il cervello in accordo con il cuore e con le mani. Sforzandosi di non separare mai la dimensione della razionalità, quella dei sentimenti e quella delle cose pratiche e materiali presenti anche nei nostri luoghi di lavoro.

Non senza pagine talora con qualche asperità, l’approccio di Latour può comunque apparire nell’insieme pure come un “vaccino” all’insegna dell’umiltà rispetto a tutta una tradizione economico-sociologica aggrappata a presunte grandi idee considerate talora persino come il substrato roccioso dello scibile e di quanto giustifica l’agire umano. In termini di metodo, siamo agli antipodi rispetto al marxismo o alle pretese di altre concezioni cugine totalizzanti della società di stampo economicistico, materialistico o funzionalistico, spesso di radice ottocentesca. Una visione, quella latouriana, che non a caso integra appieno la metafisica e le religioni nell’interpretazione delle direzioni imboccate o auspicate dalle società, in passato così come ai giorni nostri.

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