mercoledì 24 aprile 2024
La responsabilità di ogni parola
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Perché se ne parli. Non me ne si voglia, ma non riesco proprio a scandalizzarmi per le suorine della pubblicità che mangiano una patatina al posto dell’eucarestia, sotto lo sguardo compiacente della madre superiora e nell’indifferenza del sacerdote celebrante (questo nella versione online, in tv la versione è edulcorata, ma il senso non cambia). Suore e preti in pubblicità arrivano come i bambini e gli animali: in assenza di un’idea, così almeno recita un vecchio adagio del mestiere che girava nelle agenzie quando non c’erano i social e non si cercava la provocazione a tutti i costi. Peraltro, con il ritiro dello spot a poche ore dalla messa in onda da parte dell’istituto di Autodisciplina, si è prodotto pure l’effetto collaterale di fare pubblicità a chi ha firmato tanta dabbenaggine – costringendo l’azienda a chiedere scusa – e alla marca già protagonista di uno scempio semantico risalente a qualche anno fa con protagonista Rocco Siffredi. Sì, parliamo di Amica Chips, che più di tre lustri fa si affidava alla pornostar che di “patatine ne ha provate tante” (sic!). Ora, da addetto ai lavori, la richiesta del cliente è più che mai evidente: «Facciamo come allora, purché se ne parli, scandalizziamo, rompiamo gli schemi, disruptive eh».

Ora, spiace turbare il provincialismo della discutibile sala riunioni, e soprattutto fa strano scriverlo sulla carta di un giornale come questo, ma nella storiella della pubblicità dalla quale molti fedeli si sono sentiti giustamente offesi, personalmente non ci trovo nulla di blasfemo, niente di scandaloso, solo il gioco reiterato e decisamente fuori tempo massimo della provocazione fine a se stessa. Come avviene sui social, polarizzazione, click-bait, scalpore, come ruttare dentro un autobus, ovvio che tutti si girano. Ma continuo ad avere un’altra idea della pubblicità. Mi piace scrivere “Perché se ne parli”, facciamo un lavoro che partecipa alla formazione dell’immaginario collettivo, e credo che noi si debba sentire la responsabilità di ogni singola parola, immagine, foto, sequenza, illustrazione che mettiamo in circolazione attraverso il mainstream che ci viene affidato di volta in volta. E non è un discorso morale, solo e soltanto di buon gusto. Peraltro la suorina sembra uscita da un b-movie di quarta categoria, non per la recitazione, lei è bravissima, complimenti al casting, e lo spot è girato bene, ma proprio per il soggetto. Soggetto firmato da un collega illustre, che anni fa ha firmato uno degli slogan più longevi della nostra pubblicità: “Silenzio parla Agnesi”.

Chissà cos’è successo nel frattempo al suo scrivere, chissà perché oggi ha rinunciato a mettere dentro le nostre tv un altro pezzo memorabile, anziché cavarsela con un rutto dentro l’autobus purché se ne parli. Ammetto che portare in dote Rocco Siffredi nel capitale narrativo di questo brand non dev’essere facile, ma gli anni non passano invano, e di solito servono a migliorare. Peccato, per entrambi, per Amica Chips e per il creativo, cercavano il polverone mediatico, sono inciampati dentro una brutta barzelletta raccontata male. Era meglio il silenzio.

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