mercoledì 13 marzo 2024
La notizia circolata a febbraio, che definiva Milano come la terza città più inquinata al mondo, basata su dati non affidabili. E le fake news, invece di spingerci ad agire, rischiano di frenarci
Lo smog sopra Milano lo scorso 20 febbraio

Lo smog sopra Milano lo scorso 20 febbraio - Fotogramma

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L’insostenibile pesantezza della verità è diventata un fardello dell’uomo moderno, internauta sempre più isolato nell’universo digitale: tanto libero (e abbandonato) nella galassia di news aliene all’informazione ufficiale. Fino all’avvento della terza rivoluzione industriale il dato era l’arbitro incorruttibile che assestava il triplice fischio su una polemica di qualsiasi tipo, e l’informazione il suo megafono. Oggi la partita polemica non conosce fine, gli arbitri si confondono con i giocatori in campo e i microfoni trasmettono qualsiasi cosa. Prendiamo il caso della notizia circolata a febbraio, dove Milano è stata presentata come la terza città più inquinata al mondo. Notizia rilanciata da alcuni tra i media più autorevoli in Italia, come il Corriere della Sera (18 febbraio, «Smog: dati choc in Pianura Padana. Domenica Milano tra le prime tre città più inquinate al mondo») o la trasmissione della Rai “ Agorà” (20 febbraio, «Milano, terza città più inquinata al mondo»).

Bufala, fake-news, ognuno la chiami come preferisce: la sostanza è che è una notizia falsa perché basata su dati non affidabili. Milano non è neanche la città più inquinata d’Europa, tutt’al più la seconda: la prima è Brescia. Lo afferma l’ISGlobal Ranking of Cities, classifica elaborata dal Barcelona Institute for Global Health, segnalata dallo scienziato ambientale Luca Boniardi, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano. Già il termine “inquinata” è generico, perché dovrebbe riferirsi ad un complesso specifico di contaminanti atmosferici: nelle città ad esempio si considera l’inquinamento combinato da polveri sottili (in particolare Pm 10 e Pm 2.5) e dalla presenza di biossido di azoto (legato alla formazione di ozono troposferico). Se dal ranking catalano estrapolassimo il solo e famigerato Pm 2.5 (il particolato più insidioso per la salute) Milano sarebbe tredicesima in Europa in termini di “mortalità derivata”: tra le prime 5 città su questo contaminante troveremmo invece le italiane Brescia, Bergamo e Vicenza. Nella classifica Mal’aria di città 2024 di Legambiente, che considera Pm10, Pm 2.5 e ozono, Milano figura come settima città più inquinata d’Italia: la prima è invece Frosinone.

Ranking entrambi affidabili anche se con risultati parzialmente diversi, basati su strumenti di misurazione applicati in modo scientifico, dove l’ISGlobal è considerato come il più autorevole: il grande inganno della notizia su Milano è nato dalle rilevazioni di IQAir, società svizzera che si occupa di tecnologie per contrastare l'inquinamento dell'aria. Cioè, le commercializza e quindi ha un interesse diretto, non oggettivo, nel diffondere dati sull’inquinamento delle città. Certo, IQAir usa rilevatori autorizzati negli Usa ma di cui non si conosce la collocazione fisica, la rilevazione temporale e che non possono quindi garantire una comparazione con altre città europee: figurarsi con quelle indiane o cinesi, ad esempio, dove la contaminazione atmosferica è sicuramente più rilevante per la salute. Anche l’anno scorso molti media avevano chiamato in causa i rilevatori IQAir per dare la stessa notizia: era successo il 21 marzo, e anche per quella notizia vale quanto scritto adesso. Un altro caso di ciò che è definito come infodemia.

Un pensiero ha toccato molti. Ma Milano è inquinatissima, che differenza fa: basta che se ne parli. Anche perché negli stessi giorni della notizia su Milano il sistema di rilevazione Copernicus dell’Esa ha fatto girare un video che mostrava la quantità di Pm10 volteggiare sulla Pianura padana: una rappresentazione agghiacciante, ma nulla di nuovo. Nessuno nega che sia necessario lavorare per rendere molto più salubre l’aria padana, ma la verità ha un valore assoluto di cui sono portatrici le testate giornalistiche. Non è solo etica: è il senso stesso del servizio offerto dalle aziende editoriali. Circa 8 anni fa, la direttrice del The Guardian Katharine Viner pubblicò un articolo intitolato «How technology disrupted the truth» che sottolineava come i fatti falsi, o meglio quasi-veri, abbiano raggiunto il grado di credibilità delle notizie certificate per gli utenti in rete: quindi, ormai, per tutti noi. Araldo dell'era della post-verità, Viner informava sui pericoli derivati dall'uso di notizie probabili rispetto a quelle vere. Pericoli nati dal rimpiazzare un dato con un’opinione. Vale la pena ricordare che l’informazione ufficiale diventa un fenomeno di massa a inizio del Novecento, quando la statistica è assunta a misura dei problemi di una popolazione, guida operativa per le policy pubbliche. Così l’informazione professionistica ha impiegato gli strumenti della statistica per verificare l’adeguatezza delle decisioni politiche e interpretare al meglio il ruolo di cane da guardia del potere.

Siamo ormai abituati – non immuni – agli inganni social innescati dal clickbait: post dai titoli accattivanti, spesso esagerati se non falsi. Se le quasi-verità sono propagate anche dalle testate giornalistiche, si perde il peso dell’autorevolezza che ne distingue la funzione senza avere l’effetto di scalfire la viralità di Instagram, figurarsi quella di Tik Tok. Quando è stata smentita la notizia sull’inquinamento a Milano, molti commenti online giustificavano l’esagerazione: è un’argomentazione utile a mettere in luce il tema dell’inquinamento urbano, si è detto. Invece, come affermano gli esperti, il terrore paralizza chi riceve una notizia di questo tipo: spinge a pensare che ogni sforzo sia vano. Tutto l’opposto di un impulso ad agire, perché lo scatto positivo nasce dalla speranza. Proprio quello che serve per migliorare l’aria della Pianura padana e di tutte le nostre città.

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