mercoledì 14 luglio 2021
A Napoli è stato avviato un nuovo progetto nel carcere minorile di Nisida, dove i giovani detenuti stanno imparando il mestiere di giardiniere
Le sarte di Scampia modello di resilienza
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«L’impresa deve avere necessariamente una finalità sociale. Secondo me, un’impresa che ne sia priva non è veramente tale». La pensa così Roberto Sanseverino, che da trent’anni lavora nel campo della formazione professionale a Napoli. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza, Roberto cominciò a muovere i primi passi in questo settore. Tanti i progetti che ha portato avanti in questi anni nelle realtà più complesse del capoluogo campano. Ma ce n’è uno a cui tiene in modo particolare. È quello delle 'Sarte di Scampia', frutto della collaborazione col Centro Hurtado che i padri gesuiti hanno creato nel quartiere. Per il loro progetto di formazione, Roberto e i gesuiti di Scampia hanno scelto un mestiere fortemente radicato nella realtà della periferia settentrionale di Napoli. Un mestiere nel quale può trovare ampio sfogo quella creatività che da queste parti certo non manca. Un fatto ben noto alla stessa camorra, che qui e nell’hinterland del capoluogo ha dato vita a un indotto della moda nel quale la bravura delle sarte napoletane è stata messa a servizio dell’illegalità. Il progetto delle sarte di Scampia va esattamente nella direzione opposta a quella imposta dal 'Sistema'. È questo il nome con cui è conosciuto il fenomeno che sui giornali viene comunemente chiamato camorra. Le ragazze avevano scelto come proprio marchio 'Napoli illegal', ma sono state presto convinte a trasformarlo in 'Napoli legal'.

Le giovani sarte di Scampia sono tutte giovani che hanno abbandonato precocemente la scuola. A loro Roberto ha offerto la possibilità almeno di imparare un mestiere. Non solo. Alle ragazze è stato offerto un lavoro vero e proprio. Fatto non comune a Scampia, dove la disoccupazione colpisce più della metà dei residenti. Per padre Fabrizio Valletti, anima del Centro Hurtado, formazione e lavoro devono andare sempre a braccetto. «Il motivo per cui scelsi il mestiere di sarto per il mio progetto di formazione è la presenza di una sartoria nel quartiere – racconta Roberto –. Padre Fabrizio ci ha insegnato che, una volta formate, le persone non vanno mai abbandonate. La formazione non è mai fine a sé stessa. Se non c’è lavoro, essa diventa inutile». Ma l’imprenditore napoletano e i suoi collaboratori non si sono solo limitati a insegnare un mestiere alle ragazze di Scampia. «Abbiamo fatto in modo che le ragazze uscissero molto dal loro quartiere – prosegue Roberto –. Ci siamo accorti molto presto che conoscevano solo la loro realtà, che non uscivano mai da Scampia. Allora abbiamo deciso allora di far vedere loro altre realtà diverse da quella che vivono quotidianamente. Le abbiamo portate agli scavi archeologici di Paestum e dal Papa, per esempio. Sono state in barca a vela. Abbiamo voluto dimostrare loro che il mondo non è solo il grigio di Scampia, ma anche altro. Devono vedere cose belle: il bello ti cambia».

Anche il quartiere sta cambiando negli ultimi anni. Il periodo nero delle faide tra i clan che si contendevano lo spaccio di droga sembra lontano. Merito anche di poliziotti come Michele Spina, che con le sue indagini ha contribuito a scardinare il sistema dello spaccio che opprimeva il quartiere. Il padre di una delle sarte di Scampia fu arrestato in una retata della polizia. Oggi la figlia, che odiava Spina e 'gli sbirri', arriva perfino a dire: «Forse Spina ha fatto bene…». Nel quartiere ormai è chiaro che quello che la camorra ha offerto alla gente sotto la forma suadente del riscatto sociale è stata solo una grande illusione. Resta il dramma della disoccupazione, alla quale ci si è illusi di rispondere con un’economia di stampo criminale, se così si può definirla. Roberto, i gesuiti e i tanti che si impegnano per cambiare le cose nel quartiere – come il maestro di judo Gianni Maddaloni, padre dell’olimpionico Pino – vogliono invece offrire cose concrete ai giovani: formazione, competenze, un lavoro vero. Con una convinzione: «Se offri alle persone una condizione miserabile, è logico che farai di loro delle persone miserabili. Invece tutti devono avere una possibilità. Non conta dove nasci. È questo che stiamo cercando di fare». Con un metodo preciso: «Non esiste solo un percorso formativo valido, come può essere quello della scuola dell’obbligo. Esistono tanti tipi di intelligenze. I nostri percorsi formativi vanno proprio in questa direzione. Spesso la scuola non riesce a intercettare i bisogni di questi ragazzi, che finiscono per allontanarsi e per perdersi. Ma un adolescente disperso è prima di tutto un cittadino perso». Un’opportunità è stata fornita non solo ai giovani del quartiere che hanno abbandonato gli studi, ma anche a quelli che li hanno completati con successo. Sono l’altro volto della disoccupazione di Scampia. Roberto li ha assunti per fare da insegnanti alle ragazze. Ma non c’è solo la periferia settentrionale di Napoli nei suoi progetti. Un altro progetto di formazione sta prendendo forma nel carcere minorile di Nisida, dove i giovani detenuti stanno imparando il mestiere di giardiniere. Anche per loro è stato pensato uno sbocco lavorativo. Nel carcere è nata una serra, e presto sorgerà un punto vendita nel centro storico di Napoli. A un’altra cosa tiene tantissimo Roberto: dalla sua azienda è bandita ogni forma di sfruttamento del lavoro. Lo impone la sua fede cristiana. «Qui ognuno ha un contratto stabile che gli consenta una vita dignitosa, perché defraudare la giusta mercede agli operai è uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio».

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