mercoledì 4 maggio 2022
Il Bullone da oltre dieci anni si occupa di ragazzi e giovani adulti che hanno incontrato sul loro cammino un grave problema di salute
La Fondazione che costruisce il futuro dopo la malattia
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Guardare al futuro con speranza nonostante la cicatrice di una malattia arrivata troppo presto. La Fondazione Il Bullone da oltre dieci anni si occupa di ragazzi e giovani adulti che hanno incontrato sul loro cammino un grave problema di salute (malattie oncologiche o rare, Hiv, anoressia). Un progetto innovativo nato, come spesso avviene, da un’esperienza personale. Quella di Bill Nadia, imprenditore nel settore della moda, che dopo la morte della figlia Clementina ha deciso di aiutare le famiglie alle prese con una malattia. Il primo progetto avviato è stata una collezione di moda realizzata dai ragazzi dell’Istituto dei Tumori di Milano con la la stilista Gentucca. Il nome scelto dai ragazzi, B.Live, è diventato un brand, con un forte significato simbolico (è l’acronimo di Be, Belive e Live: essere, credere e vivere). Tra la 'B' e 'Live' i ragazzi scelsero di mettere un bullone, simbolo di forza e unione e che ha dato poi il nome della Fondazione. A raccontare questa storia, fatta di speranza e resilienza è la coordinatrice editoriale Sofia Segre Reinach. «Vogliamo coinvolgere i ragazzi malati per farli per uscire dal quel buco nero che li risucchia quando si identificano con la malattia». Al momento sono circa 150 i ragazzi che partecipano, arrivano dai principali ospedali lombardi (oltre all’istituto Tumori, Humanitas, Sacco, Niguarda centro Maria Letizia Verga di Monza) ma anche da altre città tramite il passaparola. La Fondazione ha uno staff di 15 persone e circa 250 volontari. La visione è imprenditoriale: al centro c’è l’idea del fare qualcosa insieme, trasformando la malattia in un seme. La crisi arriva dopo il ricovero quando salta il rapporto con i coetanei e con la scuola, c’è una frattura con la vita di prima che si deve colmare. I primi progetti sono stati nell’ambiente della moda, collaborazioni con marchi quali Coccinelle e Max Mara, e un’operazione di co-branding ancora in corso con Vibram, azienda leader nella produzione di suole per le calzature. Allo studio c’è la realizzazione di una scarpa studiata appositamente per il personale sanitario che sia sicura, comoda ma anche alla moda.

Negli ultimi anni l’aspetto culturale si è ampliato. Nel dicembre del 2015 è iniziata l’avventura del giornale Il Bullone, nato da una collaborazione con il Corriere della Sera. Sono andati in stampa 64 numeri mensili, le pagine sono cresciute da 12 a 48. Il giornale non parla di malattia ma di attualità, si occupa dei temi più delicati, dalla guerra alla Borsa, ma sceglie anche di raccontare storie che di cui nessuno vuole occuparsi. «L’anno scorso l’ordine dei giornalisti della Lombardia ha dato il tesserino da pubblicista ad honorem a 42 ragazzi, quest’anno faremo il bis. È un riconoscimento importante al nostro giornalismo sociale» spiega la coordinatrice. Per sostenere il giornale la Fondazione fa consulenza alle imprese e organizza anche corsi di formazione tramite l’Accademia del Bullone dedicati alla comunicazione digitale – podcast, storytelling, social media – ma anche al public speaking o per diventare assistente turistico. Il prossimo passo sarà la nascita di una casa editrice collettiva. Sempre in ambito di giornalismo 15 giovani redattori del Bullone sono stati chiamati da Rai2 per lavorare al programma 'La risposta giusta', in onda il sabato mattina, realizzato da Libero produzione Tv e Fondazione Cariplo, un format a quiz che racconta l’Italia del terzo settore e progetti di responsabilità sociale. Sul fronte della sensibilizzazione al tema della malattia e della fragilità, oltre agli incontri nelle scuole, è nato un progetto in collaborazione con con il Politecnico di Milano e in particolare con la professoressa Marinella Levi, responsabile del laboratorio +Lab. Un progetto dedicato alle cicatrici, tema universale visto che tutti ne abbiamo una: chi fisica chi nell’anima chi nel cuore. Quarantadue ragazzi hanno dato forma alle proprie cicatrici proiettandole sulla Venere di Milo e sul David di Michelangelo e realizzando statue in 3D che sono state esposte alla Triennale di Milano ma anche a Catania ed Amsterdam. Una seconda edizione, che ha dato forma alla cicatrice collettiva lasciata dalla pandemia nell’ottobre del 2021 è stata ospitata sempre in Triennale.

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