giovedì 24 novembre 2022
Secondo la Nobel Ostrom, il ricorso a sanzioni e incentivi diventa secondario se gli individui collaborano
Io coopero se tu cooperi: così tuteliamo i Commons
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«A meno che il numero di individui in un gruppo non sia abbastanza piccolo, o a meno che non vi sia coercizione o qualche altro dispositivo speciale (…) soggetti razionali ed autointeressati non sceglieranno di agire nel loro interesse comune o di gruppo». Questa la pessimistica conclusione alla quale arriva l’economista Mancur Olson nell’ormai classico “The Logic of Collective Action: Public Goods and the Theory of Groups” (1965). Anticipa di qualche anno un altro classico, di cui spesso abbiamo parlato in questi mesi, il saggio “The Tragedy of the Commons” (1968), nel quale Garrett Hardin delinea le conseguenze che tale incapacità ad agire in vista di un interesse collettivo ha per il destino dei beni comuni. Queste due posizioni ugualmente pessimistiche contribuiscono a definire ciò che, successivamente, Elinor Ostrom chiamerà la “tesi della contribuzione zero”: l’impossibilità, per soggetti razionali, di produrre beni pubblici e di tutelare i beni comuni. Questa tesi, come si evince, anche, dalle parole di Olson, ha un’implicazione politica molto importante: per favorire la produzione di beni pubblici e per proteggere quelli comuni è necessario usare la coercizione o «qualche altro dispositivo speciale», incentivi, sanzioni o la privatizzazione.

Elinor Ostrom, sulla base di centinaia di casi concreti di gestione collettiva di beni comuni, contesta sia la premessa che le conseguenze. La sua critica parte da un presupposto metodologico importante. La “tesi della contribuzione zero” rappresenta, è vero, un punto di riferimento teorico importante. È una conclusione alla quale arrivano anche i modelli più moderni della teoria dei giochi. Ma l’uso che dovremmo fare di questi modelli è legato principalmente alla loro capacità di fornire previsioni testabili. Occorre quindi partire da queste previsioni e metterle a confronto con i dati empirici. Questo confronto ci dice che sia la “contribuzione zero”, che la tesi alternativa secondo cui i gruppi sono sempre in grado di elaborare soluzioni ottimali alla gestione dei problemi di scelta collettiva, sono in larga misura false. Da una parte è vero che capita spesso di osservare “contribuzione zero”, ma non sempre, ed è anche vero che ci sono moltissimi esempi di auto-organizzazione dei gruppi nella gestione collettiva di beni pubblici e comuni, ma, anche in questo caso, non si tratta di un fenomeno universale.

Occorre quindi – questo è il messaggio principale che deriva dalla riflessione della Ostrom – studiare le condizioni che caratterizzano ogni caso concreto per verificare le ragioni che determinano i successi o gli eventuali fallimenti delle singole esperienze. Il primo punto su cui concentrarsi riguarda la struttura motivazionale degli esseri umani che è molto differente da quella assunta nei modelli teorici: l’interesse personale non è l’unico movente né, spesso, il principale. La seconda ragione ha a che fare con la dimensione sociale, quella del gruppo e del contesto istituzionale, e dell’impatto che questi esercitano sul nostro comportamento, impatto che i modelli teorici, molto spesso, trascurano del tutto. Rispetto al primo punto numerosissimi esperimenti hanno mostrato quanto le nostre scelte siano improntate a principi di altruismo, reciprocità ed equità. Questo ci rende, in concreto, molto più capaci di risolvere dilemmi sociali di quanto non suggerisca la teoria. Ciò non vuol dire, naturalmente, che la cooperazione sia un risultato scontato; vuol dire, piuttosto, che è, come la storia dell’evoluzione culturale dimostra, un risultato del tutto alla nostra portata.

Uno dei principi comportamentali che si osserva più frequentemente all’opera negli esperimenti economici è quello della “cooperazione condizionale”: siamo cooperativi se interagiamo con cooperatori e, al contrario, smettiamo di cooperare se capiamo di essere circondati da opportunisti. Questo principio ha implicazioni di policy molto differenti rispetto al modello standard basato sulla coercizione. Se un “cooperatore condizionale”, infatti, è maggiormente disposto a cooperare quando circondato da altri cooperatori, allora azioni collettive ottimali possono essere incoraggiate mostrando e rendendo salienti tutti gli esempi di cooperazione che possono essere per lui rilevanti. Le continue notizie sull’entità dell’evasione fiscale non farà altro che incoraggiare l’evasione, così come, invece, le notizie sulla prevalenza delle donazioni benefiche ne faranno aumentare il flusso. Non è un caso che durante le maratone televisive per la raccolta di fondi si visualizzi spesso un totalizzatore che ci fa capire quanto gli altri hanno donato. Il percorso scientifico della Ostrom arriva a tre importanti conclusioni: la prima è che molti individui hanno una struttura motivazione complessa dove entrano in gioco, oltre l’interesse individuale, anche le norme sociali e le motivazioni intrinseche; la seconda riguarda il fatto che gli individui che adottano queste norme non sempre hanno la peggio nel confronto con egoisti razionali, ma anzi, quando sono in grado di identificare chi come loro condivide altri principi comportamentali, riescono ad ottenere risultati addirittura migliori di quelli cui arrivano soggetti puramente autointeressati. La terza conclusione, infine, ci dice che la possibilità di ottenere informazioni affidabili circa la struttura motivazionale degli altri è, per questo, cruciale affinché possano scaturire esiti cooperativi, la produzione di beni pubblici e tutela di quelli comuni. Ne consegue che tutte quelle istituzioni e quei meccanismi che migliorano la diffusione delle informazioni nei gruppi e nelle comunità possono giocare un ruolo essenziale per favorire la risoluzione dei problemi dell’azione collettiva.

L’efficacia di questi meccanismi informativi non è, secondo alcuni, inferiore a quella degli interventi tradizionali basati sulla coercizione o sugli incentivi, con la differenza che questi ultimi spesso si rivelano inefficienti e costosi. Sulla base di queste considerazioni e dell’evidenza empirica analizzata, la Ostrom e il suo gruppo suggeriscono un approccio alla gestione e alla tutela dei beni comuni che eviti il ricorso esclusivo ad istituzioni centralizzate ma che preveda il ricorso a sistemi policentrici. Questi sistemi coinvolgono una serie di unità di governance semiautonome che si situano su una dimensione organizzativa piccola, regionale, nazionale ed internazionali. Questa gradazione è importante sia per la difficoltà dei problemi da affrontare, si pensi ai beni comuni globali, per esempio, sia perché la presenza esclusiva di piccole unità decentralizzate, al contrario, può determinare, sostiene la Ostrom, il rischio di “tirannie su piccola scala”.

Occorre, per questo, prevedere organizzazioni su più livelli che si intersecano e parzialmente sovrappongono. È necessario che la politica inizi a mettersi al passo con la ricerca empirica e sperimentale su questi temi perché le due premesse implicite nell’approccio tradizionale alle politiche pubbliche – gli individui sono puramente autointeressati e quindi l’unico strumento di intervento è la coercizione o gli incentivi e le sanzioni - non solo sono inefficaci, suggerisce la Ostrom, ma sono dannosi per la sostenibilità a lungo termine dei nostri sistemi democratici. La prima, infatti, mina i fondamenti normativi di una società libera. La seconda mina le sue basi positive, privando i cittadini della possibilità di sperimentare in autonomia soluzioni innovative per far fronte ai molteplici problemi dell’azione collettiva, di rendersi, cioè, protagonisti nel plasmare la natura dei loro gruppi e delle loro comunità. Da qui la deriva tecnocratica che sperimentiamo in Occidente fondata sulla conclusione, errata, secondo cui i cittadini abbiano poco da contribuire alla progettazione delle politiche pubbliche che andranno ad influenzare le loro stesse vite. «Uno spreco di risorse umane e materiali – conclude Elinor Ostrom – e un rischio per la sostenibilità nel tempo delle nostre istituzioni democratiche». © RIPRODUZIONE RISERVATA Secondo la Nobel Ostrom, il ricorso a sanzioni e incentivi diventa secondario se gli individui collaborano

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