lunedì 17 aprile 2023
Dopo aver accolto un bambino da un altro Paese, molte coppie si impegnano per aiutare i territori da cui i figli provengono. Gli esempi da Madagascar, India e Brasile
Famiglie e Sud del mondo: così l’adozione rilancia lo sviluppo
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«Ci piacerebbe comprare una mucca per dare il latte ai bambini dell’ospedale, ma da sole non riusciamo. Ci potete aiutare?». La domanda arriva da Analaroa, in Madagascar, e a parlare è suor Maria Luisa, un’infermiera malgascia. Dall’altro capo del telefono, in Italia, rispondono Fabio Brattini e Tiziana Facchi, una coppia di Brescia. Da anni sono legati al Madagascar per ragioni familiari e perché loro figlio, Andrea, viene da lì. La risposta a suor Maria Luisa è immediata: «Sì, ci siamo».

In pochi giorni si attiva una catena tra parenti e amici, si trovano le risorse, si inviano i soldi in Madagascar e due mucche arrivano nella stalla vicina all’ospedale. Le suore le chiamano per nome, Annina e Martina, come due bambine di Brescia che hanno contribuito all’acquisto con la loro paghetta. Ora i pazienti dell’ospedale possono bere il latte e il meccanismo è stato lineare: c’è un’amicizia con un territorio lontano, nasce un bisogno, si trovano le strade giuste per rispondere. Funzionano così tante realtà del terzo settore, ma è interessante osservare cosa accade quando questo circolo virtuoso nasce da una famiglia, come nel caso di Fabio e Tiziana. Raccontiamo per questo anche le storie di Lidia Santoro e Alessandro Di Filippo, residenti a Bergamo con lo sguardo rivolto all’India, e di Maria Teresa Gallo e Maurizio Irrera, torinesi con un impegno costante in Brasile.

Sono tutte persone che hanno viaggiato in altro Paese per motivi personali, come l’adozione di un bambino o di una bambina, e hanno lasciato un pezzo di cuore su quel territorio. Hanno poi trasformato l’affetto in un ascolto delle necessità locali. Oggi muovono risorse economiche, aggregano sostenitori, tornano periodicamente in loco per vedere ciò che accade. Tutto avviene nel silenzio, come per tante altre storie di ordinario bene comune. A cui, qui, proviamo a dare una voce. Fabio Brattini racconta l’amicizia con il Madagascar in una serata di condivisione di buone pratiche organizzata da alcuni amici in provincia di Brescia. Fa vedere al pubblico le foto delle mucche, poi delle galline, infine di un dispensario, tutti destinati ai progetti delle suore Orsoline. «Le conosciamo da anni – specifica Fabio – abbiamo sempre dato un piccolo contributo annuale per le loro attività, ma niente di più. La situazione è cambiata nel 2017, quando abbiamo scoperto che l’ospedale di Analaroa aveva delle necessità pratiche e che potevamo essere utili. Noi siamo una goccia nel mare, non potremmo fare niente senza le tante persone che ci aiutano».

Per fare rete tra i sostenitori del progetto, Fabio e Tiziana hanno creato un gruppo WhatsApp che si chiama “Amici del Madagascar” e riunisce più di cento persone. «Alcune non le conosciamo personalmente, sono arrivate grazie al passaparola. Si fidano di noi perché siamo in contatto diretto con le suore malgasce e mandiamo sul gruppo tutti gli aggiornamenti». Il progetto di Analaroa è sostenuto anche da altre associazioni più grandi, puntualizza ancora Fabio, come la Chirurgia pediatrica solidale Odv di Trento. Ora gli “Amici del Madagascar” stanno raccogliendo risorse per tinteggiare una scuola e per costruire un edificio dove accogliere dodici bambini malati di tubercolosi. Azioni piccole, ripete più volte Fabio, ma intanto i frutti ci sono.

Da Bergamo all’orfanotrofio di Chhindwara, al centro dell’India, per un’altra storia di amicizia tra due territori lontani, una storia che ha per protagonista la famiglia di Lidia Santoro e Alessandro Di Filippo. Vivono a Bergamo, hanno cinque figli e in queste settimane sono in viaggio in India per accogliere la sesta. È proprio con questo Paese che i Di Filippo hanno un legame particolare: ci sono stati la prima volta nel 2017 per visitare gli orfanotrofi delle suore Missionarie della Carità a Calcutta durante il percorso di adozione della loro quinta figlia. Un incontro che li ha messi in movimento. «L’India è un Paese di grandi contraddizioni, c’è una sproporzione immensa tra ricchi e poveri – spiega Lidia –. A Calcutta abbiamo visto persone morenti abbandonate in mezzo alla strada e bambini che passavano le loro giornate da soli, a volte legati con uno spago alla ringhiera di casa. Siamo tornati con il desiderio di fare qualcosa di utile».

Così, dopo un confronto con le suore locali, Lidia e Alessandro hanno deciso di sostenere l’orfanotrofio di Chhindwara in Madhya Pradesh, al centro dell’India, che ospita bambini con bisogni speciali ma ha poche risorse ed è difficilmente raggiungibile da medici e infermieri.

Per trovare i finanziamenti, a novembre i Di Filippo hanno fondato l’associazione Balomè con un gruppo di amici sparsi in tutta Italia. Balomè, spiegano, «è la parola che nostra figlia ci ha ripetuto più volte quando l’abbiamo incontrata a Calcutta. Con il tempo abbiamo scoperto che significa “sono una brava bambina”». In pochi mesi l’associazione ha raccolto più di 7mila euro con la distribuzione di panettoni e dolci per Natale, già tramutati in materiale sanitario e in tre contratti di lavoro per fisioterapisti nell’orfanotrofio. Il prossimo obiettivo è acquistare un impianto cocleare per una bambina di tre mesi nata sorda. «Questi sono bisogni primari, ma sappiamo che la sola assistenza non risolve i problemi a lungo termine. Per il futuro avrebbe più senso puntare a meccanismi di autofinanziamento, ora siamo agli inizi» specificano Lidia e Alessandro.

A febbraio Balomè ha organizzato una serata per ringraziare i sostenitori e Lidia ha partecipato alla preparazione della cena per tutti. Se le chiedi come sia possibile conciliare l’impegno sociale con una famiglia così numerosa e con una professione, lei risponde con motivazioni profondamente personali: «Questa esperienza si intreccia con la nostra fede, ci vediamo una vocazione specifica per la nostra famiglia. Io da sola non riuscirei a fare nulla, ma è nato un meccanismo virtuoso e tutto si incastra».

E cosa accade quando l’impegno di una famiglia si radica nel tempo e porta frutto negli anni? Risponde bene la storia di Oaf-i, un’associazione fondata a Torino da Maurizio Irrera e Maria Teresa Gallo che ha coinvolto nel tempo centinaia e centinaia di persone. Nel 1998, Maria Teresa e Maurizio erano in viaggio a Salvador de Bahia, in Brasile, per il percorso di adozione del loro secondo figlio. Stavano visitando diversi orfanotrofi della città che ospitavano bambini in condizioni critiche. «Ci colpiva il silenzio di quelle strutture affollate, era un pellegrinaggio della tristezza – racconta oggi Maria Teresa –. A un certo punto però qualcuno ci disse di andare all’Organizacao de Auxilio Fraterno, un’opera gestita da un gesuita milanese. Varcato il suo cancello, decine di bambini ci corsero incontro allegri e festosi. Il loro entusiasmo parlava di una casa diversa da tutte le altre».
In quel momento l’Oaf ospitava centinaia di bambini, era una scuola professionalizzante per 6.000 giovani e adulti ogni anno, aveva percorsi per affiancare le famiglie in difficoltà, scuole per diverse fasce di età e anche un museo della scienza. La mente dietro a quell’opera, spiega Maurizio Irrera, «era Padre Clodoveo Piazza, figlio di imprenditori con un forte spirito innovativo. Si era inventato un museo per i bambini di strada perché pensava che la bellezza degli esperimenti scientifici potesse attirare i giovani e spingerli a studiare. Funzionava». Nel 2006, il Banco americano de desenvolvimento definì l’Oaf come l’opera di aiuto più all’avanguardia del Sudamerica. Tornati a Torino, Maria Teresa e Maurizio fondarono l’Organizzazione di Aiuto Fraterno – Italia con la missione di fare conoscere l’opera di padre Piazza e di sostenerlo economicamente. «Sin dall’inizio lui ci ha mandato a conoscere altri missionari, ha sempre allargato la nostra prospettiva – sottolineano gli Irrera –. Gli incontri si sono moltiplicati e ci siamo affezionati anche ad altri progetti, all’estero e in Italia».

Per quasi dieci anni, Maurizio e Maria Teresa hanno portato parenti, amici, colleghi e anche le istituzioni di Torino a visitare l’Oaf a Salvador de Bahia. L’associazione ha vinto bandi nazionali e internazionali e ha partecipato ad alcuni progetti finanziati dal ministero degli Esteri o dalla Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo vent’anni, le attività vanno avanti nonostante i tanti cambiamenti: nel 2014 padre Piazza si è spostato in Mozambico dove è nata una scuola agricola per giovani, ed è poi mancato nel 2018. Ma l’obiettivo iniziale rimane vivo e l’Oaf-i continua a sostenere progetti vicini e lontani. Maria Teresa e Maurizio hanno condotto questa storia lunga, e spesso impegnativa, con una motivazione precisa: «L’incontro con padre Piazza ci ha cambiato la vita. Tenere solo per noi questa scoperta ci sembrava uno spreco per le tante persone che sono sfiduciate, hanno perso la speranza e sono convinte che le cose non possano mai migliorare».


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