mercoledì 6 aprile 2022
Gli ultimi due rapporti del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico IPCC sottolineano l’urgenza di un’azione globale
Azione climatica fondamentale per costruire la pace
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«Non c’è più tempo da perdere»: ecco il messaggio chiave degli ultimi due rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC) pubblicati il 28 febbraio e il 4 aprile. A partire da un’ampia analisi della letteratura esistente, i report sottolineano ancora una volta l’origine antropica del cambiamento climatico e l’urgenza di un’azione globale, incisiva e rapida con il duplice obiettivo di limitare il riscaldamento globale (mitigazione) e di preparare le società umane alle ripercussioni negative che, ormai, non si possono più evitare (adattamento). La buona notizia è che possiamo, dal punto di vista tecnologico, ridurre le emissioni climalteranti fino a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica (net-zero); la cattiva notizia è che gli impegni assunti a livello internazionale continuano a essere disattesi. La crescita delle emissioni rallenta, ma non si arresta: dobbiamo raggiungere il picco il prima possibile e iniziare, finalmente, la discesa. Ciò è fondamentale per evitare la 'catastrofe climatica': attualmente ci troviamo su una traiettoria verso un pianeta a 3,2° ma sappiamo con certezza che oltre la soglia di 1,5° gli eventi climatici estremi come ondate di calore, siccità prolungata e inondazioni aumenteranno in frequenza e intensità, ponendo serie minacce alla sicurezza di infrastrutture, zone costiere e, più in generale, all’esistenza di numerose specie viventi.

Gli effetti dei cambiamenti climatici, del resto, si stanno manifestando prima e con maggior gravità rispetto alle previsioni: non si tratta di scenari futuri, bensì della realtà che un numero crescente di ecosistemi e popolazioni sperimentano nel presente. Il Mediterraneo è tra le aree più vulnerabili del pianeta: si sta infatti riscaldando più velocemente della media globale (è stata già raggiunta la soglia di 1,5°) e le conseguenze del cambiamento climatico in termini di perdita di biodiversità, siccità e rischi per la sicurezza idrica sono più marcate. Un motivo in più, quindi, per gli Stati, le imprese e gli individui di questa regione per intervenire con misure ambiziose al fine di limitare le emissioni climalteranti e ripensare i modelli socioeconomici e abitativi (anzitutto le città) in ottica di adattamento. L’IPCC evidenzia l’interconnessione tra cambiamento climatico, biodiversità e attività umane, valorizzando il contributo delle scienze naturali, economiche e sociali. È evidente che la sfida deve coinvolgere le nostre società a più livelli, tenendo conto dei principi della giustizia climatica e della giusta transizione. In effetti, i Paesi e le classi sociali che meno contribuiscono all’aumento delle emissioni climalteranti sono tra i più colpiti dagli eventi metereologici estremi e, al contempo, dispongono di minori risorse per adattarsi: occorre quindi compensarne le perdite e sostenerli economicamente nel percorso verso l’adattamento al cambiamento climatico, come previsto anche dagli Accordi di Parigi. Inoltre, è necessario supportare la riconversione industriale delle imprese e dei lavoratori attivi nei settori che dovranno essere ridimensionati o abbandonati, in quanto incompatibili con gli obiettivi climatici. Ora, nel contesto attuale di forti tensioni geopolitiche, il rischio è quello di perdere di vista la gravità e la rilevanza della crisi climatica, concentrandosi esclusivamente sul breve termine. Accumulare ulteriori ritardi nelle azioni di mitigazione e adattamento è però un errore che, letteralmente, non ci possiamo permettere: ne va della possibilità di continuare ad abitare questo pianeta. Di questo sono consapevoli gli attori della finanza sostenibile che sempre più convintamente scelgono di includere il fattore 'clima' nelle scelte di investimento, finanziamento e assicurazione, sostenendo le soluzioni climatiche (per es. efficienza energetica ed energie rinnovabili) e limitando l’esposizione al settore delle fonti fossili ai soli emittenti con seri programmi di decarbonizzazione. Se è vero che il mix energetico attuale non può fare a meno del gas, è però fondamentale affrontare contemporaneamente crisi energetica e crisi climatica, insistendo sull’importanza di ridurre i consumi energetici e sulla necessità di sviluppare rapidamente le rinnovabili.

La finanza sostenibile sta facendo e senz’altro farà la sua parte in questa sfida. Infine, bisogna essere consapevoli della profonda interdipendenza tra cambiamento climatico e guerre. Da un lato, le guerre distruggono l’ambiente oltre che le società umane. Dall’altro, un mondo segnato dalle conseguenze catastrofiche di uno sconvolgimento degli equilibri naturali (in cui milioni di persone saranno costrette a emigrare a causa dell’innalzamento del livello dei mari, della scarsità di acqua potabile, dei danni all’agricoltura e del 'disagio termico') vedrà le relazioni nazionali e internazionali diventare sempre più conflittuali, con una maggior probabilità di risoluzione violenta delle controversie. Saranno necessarie ingenti risorse, anche finanziarie, per realizzare la transizione verso un modello socioeconomico in grado di produrre impatti positivi sull’ambiente e di garantire prosperità, inclusione sociale e tutela della salute (sia delle persone, sia del pianeta). Pertanto, la finanza sostenibile ricopre un ruolo fondamentale: tenendo in considerazione i criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) si possono supportare le aziende e le istituzioni attente a clima, biodiversità e diritti umani, evitando di finanziare gli emittenti maggiormente responsabili dei problemi con cui dobbiamo confrontarci. È dunque prendendo sul serio la necessità di azioni radicali per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, ed estendendo questa presa di coscienza alle scelte finanziarie, che si costruisce la pace.

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