mercoledì 14 febbraio 2024
Una norma che introducesse benefici pensionistici e contributi figurativi legati al numero dei figli, sia agli uomini che alle donne, potrebbe permettere di sostenere il sistema pensionistico
Le pensioni come leva per la natalità: la logica dell'incentivo
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Figli, genitori e nonni; natalità, genitorialità e welfare sono sempre più accostati gli uni agli altri nel dibattito pubblico. Ad esempio il ministro Giorgetti non manca occasione di ricordare che nessuna riforma delle pensioni è sostenibile con gli attuali trend demografici.

Ci sono almeno quattro modi in cui il tema delle pensioni si intreccia con i temi della natalità e della genitorialità ed è importante acquisire questo quadro e questa complessità per stabilire delle politiche pubbliche adeguate. La prima questione, forse la più ovvia, è quella sollevata dal ministro: le pensioni godute dai nonni di domani – i potenziali genitori di oggi – sono sostenibili solo a condizione che ci siano abbastanza contribuenti domani, ovvero che nascano abbastanza figli oggi. Questo perché nel nostro sistema pensionistico a riparto i contributi dei lavoratori versati in un determinato anno vengono utilizzati per finanziare le pensioni nel medesimo anno. Sussiste quindi un rapporto di causa effetto tra la natalità oggi bassa e le prestazioni pensionistiche future necessariamente più contenute. Si noti che i figli oggi generati e cresciuti con elevati costi privati dai genitori genereranno un beneficio pubblico – il sistema di welfare di cui le pensioni fanno parte – anche a favore di coloro che oggi decidono o non riescono ad avere figli.

Questa tensione tra costi privati concentrati su pochi e benefici diffusi per tutta la società genera un tipico dilemma sociale che gli economisti chiamano il problema del bene pubblico. Di beni pubblici infatti se ne producono solitamente troppo pochi perché dal punto di vista individuale risulta più conveniente aspettare opportunisticamente che qualcuno si sobbarchi le spese di fornire il bene a tutta la società. In questo senso Nancy Folbre (1994) definiva i bambini come un bene pubblico sottoprodotto: questo disallineamento tra benefici pubblici e costi privati comporta che oggi nascono troppi pochi bambini per garantire il futuro sostentamento del welfare. Il secondo nesso tra natalità e pensioni prende la direzione causale opposta: dalle pensioni (alte) alla natalità (bassa).

Prima dell’avvento dello stato sociale la famiglia ed i figli erano sostanzialmente l’unica rete di protezione che potesse assicurare una vecchiaia dignitosa ai pochi che ci arrivavano. Con l’introduzione dei sistemi pensionistici a partire dal ‘900 questa motivazione è venuta meno e nella letteratura economica si è dimostrata la connessione causale tra la generosità del sistema pensionistico e la bassa natalità. Ad esempio, utilizzando i dati delle riforme Amato e Dini che a metà degli anni ‘90 hanno diminuito la generosità del sistema pensionistico italiano, Billari e Galasso (2009) hanno stimato che le donne impattate dalla riforma hanno aumentato del 13 per cento la loro fertilità rispetto alle donne che non avevano avuto conseguenze dalla stessa.

L’introduzione del sistema pensionistico universale è stata certamente un’innovazione sociale fondamentale ma ha portato con sé la conseguenza imprevista di contribuire all’abbassamento della natalità fino al punto di minare la sostenibilità del sistema stesso nel prossimo futuro. C’è un terzo nesso tra natalità e pensioni che è stato di recente sottolineato da un lavoro della Banca d’Italia (Frattola 2023) secondo il quale nei Paesi mediterranei il pensionamento di uno dei nonni aumenta del 6 per cento la probabilità di nascita di un nipote a due anni dalla pensione ed in particolar modo se il nonno è in salute ed abita in prossimità dei genitori ed il nipote in arrivo è il secondo o terzo. Non sembra invece influire il sesso del pensionando, lasciando intuire l’importante ruolo di supplenza ed aiuto svolto da entrambi i nonni rispetto alle scelte di natalità dei genitori.

Questa evidenza introduce un ulteriore elemento di complessità nel quadro poiché l’innalzamento dell’età pensionabile, necessario per mantenere in equilibrio il sistema pensionistico nel breve periodo, sembra anche in questo caso avere un effetto negativo sulla natalità e quindi sulla tenuta del welfare nel lungo periodo. Infine il quarto nesso passa dal vincolo di bilancio: nella spesa pubblica per il welfare le politiche pensionistiche che beneficiano maggiormente i nonni di oggi sono in competizione con le politiche familiari a favore dei genitori e dei figli di oggi.

Secondo un rapporto sulla giustizia intergenerazionale, l’Italia spendeva nel 2009 circa sette euro in servizi a favore delle generazioni anziane (principalmente pensioni e sanità) per ogni euro speso per le generazioni giovani (come educazione, politiche a servizio della famiglia e del lavoro). Se la natalità è diventata una vera e propria emergenza nazionale, non si possono più ignorare le conseguenze che le politiche pensionistiche hanno su di essa. Qualcosa, invero, è stato abbozzato di recente con l’estensione della cosiddetta “Opzione Donna” nella legge di bilancio. Ricordiamolo: si tratta di un regime di pensionamento anticipato per le donne lavoratrici che hanno maturato una certa età anagrafica (almeno 61 anni) e uno specifico monte contributi (almeno 35). Da due anni a questa parte è stata introdotta una riduzione del requisito di età per le donne con un figlio (60 anni) o più di un figlio (59 anni).

Una norma concepita nel 2004 come una sorta di compensazione per le difficoltà e discriminazioni riscontrate da molte donne nell’accesso al mercato del lavoro è nel tempo diventata una misura di welfare vicario che ha permesso a molte donne di prendersi cura dei nipoti – tanto da essere spesso ribattezzata come “Opzione Nonna” – e di recente, avendo legato la possibilità di anticipare il pensionamento alla numerosità dei figli della nonna (e non al numero dei nipoti), è diventata potenzialmente un incentivo alla natalità perché lega in maniera diretta le scelte di natalità alle prestazioni pensionistiche. La legge attuale – come spesso accade – è diventata un ircocervo che manca di una ratio coerente. Come dovrebbe essere una buona legge che riconosce ed utilizza lo strumento pensionistico come leva per la natalità? Come tenere insieme il fine della pensione come strumento di welfare vicario ed al tempo stesso incentivo alla natalità? Per funzionare da incentivo alla natalità è necessario agganciare le pensioni future al numero di figli concepiti oggi.

Seguendo fino in fondo la logica dell’incentivo però questa norma dovrebbe riguardare solo le scelte future: dovrebbe introdurre oggi dei benefici pensionistici per il futuro legati ai figli che ex nunc vengono messi al mondo e non già – come fa Opzione Donna – riconoscimenti economici per scelte di fertilità passate sulle quali non si può più incidere ( ex tunc). Per cambiare oggi scelte che pagheranno solo in un lontano futuro, la norma deve anche essere credibile: ad esempio comportando il diritto a ricevere dei contributi figurativi sin dalla nascita del figlio. Inoltre l'incentivo non necessariamente dovrebbe prendere la forma di una riduzione dell’età minima di pensionamento – come avviene in Opzione Donna – ma piuttosto potrebbe essere elargito nella forma di un più alto premio pensionistico. Inoltre, le scelte di fertilità riguardano entrambi i genitori, pertanto l’incentivo dovrebbe essere offerto a entrambi, a fronte di un impegno duraturo nel tempo rispetto alla crescita dei figli. Così disegnata, la norma avrebbe anche il merito contingente di non costare nulla alle finanze pubbliche nell’immediato, perché l’incentivo non deve essere elargito a breve. Se l’incentivo si rivelasse efficace, una più alta fertilità permetterebbe di sostenere il sistema pensionistico nel lungo periodo. Una buona norma non potrebbe però ignorare l’evidenza che il pensionamento è anche strumento di welfare vicario che sostiene la natalità attraverso l’aiuto dei nonni ai genitori lavoratori.

Per favorire questo meccanismo, la norma dovrebbe da una parte estendere la possibilità di andare in pensione anticipata anche ai nonni maschi che abbiamo visto essere altrettanto incisivi sulle scelte di natalità dei genitori e dall’altra dovrebbe limitare tale possibilità solo a quei nonni che – essendo in salute ed abitando vicino ai figli – siano davvero in grado di incidere sulle scelte di fertilità dei genitori. Se la bassa natalità è una minaccia per la tenuta del sistema Paese e del suo welfare è ora e tempo di approntare misure audaci che vadano ben oltre gli strumenti tradizionali – pur necessari – dei trasferimenti come l’Assegno Unico ed Universale. Il modo qui suggerito è quello di legare in maniera esplicita le prestazioni pensionistiche alle scelte di natalità proprie (i futuri nonni) e dei propri figli (i futuri genitori). Un riordino intelligente e ragionato di Opzione Donna è una buona base da cui partire.

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